Miglior PG e GIOCATA YAOI del mese

Per lo Scrambled Reader di questo mese, la vostra Alichino su un letto volante, vi porta in ritardo le recensioni yaoi, occupando abusivamente lo spazietto della reader-sama Seebaru. Devo dire che la scelta è stata piuttosto ardua, soprattutto con un corollario di personaggi tanto ampio, che mi hanno fatto venire in mente l'idea di dare qualche riconoscimento in più del solito. Dopo questa introduzione, passiamo subito ai giudizi.

Minami x Cloder

Minami e Cloder sono due sopravvissuti. Hanno imparato a ferire per primi, piuttosto che continuare a incassare i colpi degli altri e scoprirsi vulnerabili. Entrambi plasmati da un passato che li ha induriti, si fanno strada in mezzo alle persone con regole e modi propri. Ciò che hanno imparato nella vita pratica, tuttavia non ha fornito loro un’adeguata maturazione a livello affettivo. Ed è questo l’aspetto interessante della role; si è - di fatto - davanti a due persone che, pur cavandosela da sé, elargiscono all’esterno una serie di atteggiamenti pieni di sé e sicuri (forse più di quanto lo siano davvero).
Lo scontro (la vera conoscenza iniziale) tra i due avviene attraverso una partita a poker, una sfida che scopre le carte sull’identità dei protagonisti. Attorno a loro pullulano comitive di vecchia data, che pulsano di vita e lasciano scorrere in maniera frizzante la lettura. Realisticamente, ci si trova a considerare le esistenze di persone che vivono ai margini, a tutto tondo, e che proprio attraverso la violenza verbale, la tensione e le continue beccate riescono a scavarsi dentro e a costruire assieme qualcosa di profondo. L’evoluzione della coppia è molto ben pensata, da questo punto di vista, perché è anche sistematicamente puntata sulle caratteristiche dei singoli individui.

Seth x Jhasper

Seth e Jhasper appartengono a due fila distinte, la cavia e il figlio di uno scienziato senza scrupoli, in un tempo remoto nel futuro. Chrome City e il Leviathan appaiono subito al lettore come il freddo contenitore della minaccia del progresso; le tecnologie avanzate diventano infatti lo sfondo dello sfruttamento sperimentale, il rovescio della medaglia del comfort e della modernizzazione.
Il padre di Jhasper si occupa di progetti che prevedono l’utilizzo di alcuni malcapitati come carne da macello per le sue trovate scientifiche, particolarità che ha da sempre generato una frattura tra il genitore e il figlio; quest’ultimo di indole più pacata e aperta. Seth, dal suo canto, è un ibrido, il prodotto di una complessa mutazione genetica. È un essere in gabbia, che non ha perso la propria scintilla vitale e che lotta per ottenere quella libertà tanto assente nella sua esistenza.
La fuga assieme, come diversivo inizialmente, diventa la metafora di una speranza più grande. Quella di essere riconosciuti per la propria umanità e per l’opportunità di esprimere i desideri, le emozioni, senza essere controllati e ingabbiati da alcuno. La sudditanza (fisica nel caso di Seth, usato come animale da laboratorio e quella psicologica di Jhasper, incapace di sabotare i progetti del padre) è sviscerata grazie a un grande utilizzo della componente emotiva dei protagonisti; entrambi risaltano in maniera cristallina per la propria psicologia, formando da subito un legame con il lettore. Buono è anche l’intreccio fra l’azione e le fasi introspettive, che tendono ad assestare il ritmo della narrazione su una rapida scorrevolezza.

Zen x Takafumi

Uno dei pairing più sottovalutati nel mondo animanga, è sviluppato in una role AU ben ponderata. Takafumi Yokozawa è a capo di un clan yakuza ed è un uomo che non prevede sconti in caso qualcuno tenti di scavalcarlo. Per una questione d’onore da sistemare è costretto a sostenere l’incontro con uno dei suoi “rivali”, tale Ryonetsu. Il loro rendez-vous è tutt’altro che piacevole; il più anziano non vede di buon occhio l’operato di un novellino, suo avversario.
Inaspettatamente, come spettatore del regolamento di conti, si unisce la figura di un (apparente) completo estraneo, Zen Kirishima. Zen non è altro che il primogenito dell’uomo a capo del clan Ryonetsu; a differenza di Yokozawa non sembra trarre orgoglio personale nell’essere affiliato alla mafia locale. In effetti, le ragioni, per cui Zen è rientrato fra le fila dell’organizzazione criminale, si concentrano tutte sulla figura della piccola Hiyori, sua figlia.
La cornice angst viene così a chiudersi nell’incontro della coppia, a seguito di una sparatoria. Le premesse svelano due persone abbastanza chiuse e che sono scese a patti con i loro trascorsi, pur di mostrarsi per quello che il loro ruolo richiede. Zen, dall’apparenza faceta e immatura, è in realtà una persona che tutto ha sacrificato in nome dell’amore paterno; Yokozawa un uomo solo, circondato da galoppini e che deve far quadrato attorno a sé pur di trarre le decisioni migliori. Oltre all’affiatamento delle roler, il pregio va ricercato nell’attinenza coi fatti narrati e, soprattutto, nell’indagine psicologica mostrata. I personaggi sono mossi nel loro ambiente, con una durezza alternata a momenti più pacati e nostalgici (soprattutto con l’introduzione del personaggio di Hiyori, che aggiunge una parvenza di calore insperata).

Diamond x Safire

Un pairing incestuoso, quello dei due fratelli del Black Moon Clan di Sailor Moon. Diamond è il principe reggente, alle cui spalle si cela l’ombra del Saggio. Un’essenza che trama sulla gerarchia interna del clan e che mira a fini più molesti e subdoli, forte della fiducia del suo “padrone”. Safire sospetta del Saggio e del suo ascendente sull’amato fratello, ma le sue preoccupazioni non sembrano raggiungere il cuore del suo sangue, che invece teme l’insubordinazione proprio del fedele Safire.
Diamond è reso re e schiavo al contempo: di sé stesso e della propria passione/ossessione per quel fratello che, durante una trattativa diplomatica, dovrà lasciare il palazzo come ostaggio della Principessa della Luna. È in quel momento che collimano i sentimenti contrastanti per la figura di Safire, che vanno a disintegrare il senno del principe e a spodestarlo. D’altro canto, è la fragilità di Safire nei confronti del maggiore a screditarlo agli occhi di Diamond. Il primo accetta l’odio del fratello e gli riserva obbedienza; l’altro osserva questo atteggiamento con disprezzo, considerandolo il fulcro di un possibile tradimento più grande.
La role, dai contorni deliziosamente torbidi, parte con un sottofondo di mistero, dovuto in buona parte al background spoglio del contesto. Un mondo che “pare” essere in declino, affascinante e tetro, e che rispecchia appieno il rapporto morboso (psicologicamente da master e slave) della coppia di consanguinei, legandoli oltre le rispettive incomprensioni.

Edgar x Char

L’incrocio fra diversi; diversi che hanno bisogno reciproco, l’uno dell’altro, per ottenere le risposte che ricercano da tempo. Edgar e Char sono individui unici, in un mondo in cui la magia è cosa ordinaria; eppure entrambi sfuggono alle antiche conoscenze e sembrano possedere particolarità che persino altri stregoni non sanno decifrare. Il problema dell’identità e la necessità di trovare un senso alla propria esistenza, a come gestire le abilità innate e ciò che li rende incomparabili a coloro che li circondano, sono elementi centrali in questa role.
La maledizione e l’esotismo riscaldano da subito l’atmosfera generale. Il viaggiatore e l’eremita possiedono in parte lo stesso animo inquieto; in special modo nei loro trascorsi infelici, dettati da una condizione che non potevano prevedere e che nessuno dei due aveva richiesto al fato. Storie che vanno in un certo senso a sovrapporsi per la componente nostalgica e che rappresentano un punto in comune per entrambi.
L’avvio è scandito da una tempistica non sempre azzeccata, con qualche tendenza a rendere l’insieme pesante e poco scorrevole. Non tanto in termini di difficoltà contenutistica, quanto di semplice lettura. Più che nel loro rapporto, i protagonisti sembrano essere più interessanti se presi singolarmente, mentre nella fase della conoscenza non sanno ancora convincere a fondo, anche per un aspetto acerbo della giocata.

Shoya x Sanada

Shoya è il fidanzato di Michelle, sorella(stra) di Sanada. Innamoratissimo della ragazza, tanto che la loro relazione pare possa condurre felicemente ai fiori d’arancio e a una vita di stabilità emotiva, sembra sapere con certezza cosa sia l’amore (che ha trovato nella persona della propria infermiera). Almeno fino al momento in cui qualcosa di più passionale e prepotente non giunge a mettere dubbi, sgretolando questa sua convinzione. L’amore di Shoya per Sanada è fatto di tempesta, di grandi virate e di forti strattoni. Ha la fiamma dell’impetuosità e insieme il tormento, l’indecisione. Shoya mette tutto in discussione per questi suoi nuovi sentimenti e non sa maneggiarli come aveva sempre fatto con la fidanzata ufficiale. Non gli mancherà il tempo di far chiarezza e proprio quelle tempistiche sono il fattore principale a favore della role. Il triangolo di base si sfalda e si rinforza, complice la personalità e il senso di colpa di entrambi i ragazzi, ma anche la vicinanza dei personaggi secondari.
È una role che si costruisce con il tempo e che gioca con esso. Se da un lato la lettura è facilitata e di gran lunga celere, dall’altro l’instaurarsi delle emozioni prende maggiore spazio e perlustra le zone d’ombra di una relazione tanto difficile, agli occhi del comune buon senso e che potrebbe minare i precari equilibri familiari di Michelle e Sanada. Entrambi i protagonisti hanno caratteri complicati, lunatici e poco flessibili; se Sanada è spesso vittima della propria impulsività e della gelosia, Shoya si comporta da duro qual è, ancora con l’impronta dell’uomo nel corpo dell’aviazione (che aveva lasciato a causa di un incidente).

Emika x Deshawn

Deshawn è un Domatore di classe S, una persona in grado di ammansire con la sola forza dello sguardo le creature più potenti e incapaci di autogestirsi. Ha una personalità intrigante, che lo rende un individuo pieno di sfaccettature e – proprio per questo – più imprevedibile degli altri esponenti della sua schiatta. Talvolta si fa beffe delle stesse regole che dovrebbe seguire, dimostrando di tenere più al proprio libero arbitrio, alle proprie cause, che ai dettami di qualcun altro (sia esso superiore o inferiore a lui per autorità).
Deshawn non è schiavo delle convenzioni e questa sua libertà non solo è sintomo di una certa apertura mentale, ma anche di un’ambiguità che lo pone super partes rispetto agli schieramenti più semplici: domatori vs. domati.
Emika è un ragazzo che ospita lo spirito di un drago antico e potente: il Drago delle Sei Vie. Il suo destino è già segnato dalla nascita, quando sviluppa questa particolare predisposizione e tutti, nessuno escluso, vedono in lui minaccia, ma anche una creatura da sottomettere e usare a proprio vantaggio. Il suo incontro con Deshawn non è dei più sereni e fa nascere a poco a poco un rapporto originale nel classico master/pet. Nulla è dato per scontato e soprattutto la componente delle abilità è gestita anche in chiave psicologica, dando ampio riscontro e genuinità alle emozioni dei due personaggi principali. Il nocciolo della role è la collaborazione – spesso “forzata” – fra i due, che mette radici nel susseguirsi del tempo .

I vincitori del mese di Gennaio 2014

Migliore role del mese

Milo x Neal

Milo e Neal non sono soltanto personaggi opposti per principi, morale e indole; Milo e Neal non soltanto si completano; Milo e Neal rappresentano un tipo di coppia capace di crescere assieme e di acquisire tridimensionalità nel corso delle proprie vicissitudini. Crescono e si feriscono (più spesso è Neal a subire i tradimenti di Milo, pagando lo scotto delle delusioni arrecategli dal “compagno”). Quello che dovrebbe essere un semplice passatempo, cui farla pagare per la propria ingenuità (Neal), diventa per Milo qualcosa di più. Quest’ultimo è un antieroe per eccellenza: quanto aveva di buono, probabilmente lo ha perso prima di rendersene conto, a fronte di un mondo che detesta e di una vita che tende lui stesso a imbruttire. Fidarsi degli altri è difficile, poiché Milo non sa donarsi onestamente e gettarsi a capofitto, con quell’entusiasmo infantile di Neal… il tipo di individuo che più disprezza e considera debole, poiché dotato di belle speranze che il mondo (incluso Milo) non esita a recidere con la brutalità.
Nella vicinanza di Neal, Milo ritrova una parvenza di umanità e di sensibilità, malgrado nascosta sotto un velo di autentica perfidia. La role funziona egregiamente proprio per la capacità di Mikki e di Velvet nel sintetizzare, con un’analisi psicologica pulita e sempre alta, le peculiarità della coppia. Milo sa essere amorale e immorale; compie davvero azioni scabrose e Neal finisce per soccombere, complice anche il suo handicap (riportato con la delicatezza e le nozioni di base necessarie perché non si scada in qualcosa di irrealistico). I tempi non si rivelano sempre maturi e talvolta i salti non giustificano le ellissi narrative compiute, se non sminuendo i tentativi ben più corposi e dettagliati sciorinati in precedenza.

Miglior personaggio del mese

Takafumi Yokozawa

Schietto, Takafumi è un uomo che sa dire ciò che pensa e, ancor più, dettare legge dove i sordi sembrano dimenticare chi abbia l’autorità in mano. È distante dagli altri, pur dovendo difendere gli affari di famiglia, incapace di esternare le proprie emozioni, appunto perché abituato a sopprimerle in virtù della propria mansione di leader di un’organizzazione criminale. Risente di emozioni contrastanti riguardo la figura del defunto padre. Il genitore era tanto motivo di rispetto quanto di raccapriccio per le sofferenze inflitte alla moglie. Era pertanto prerogativa di Takafumi divenire un uomo diverso, pur sempre all’altezza del prestigio del padre. L’occasione gli è data dalla morte di quest’ultimo e dalla decisione celere di prendere le redini del clan; un’attitudine al dovere che tende a oscurare i reali pensieri del nuovo leader del casato Yokozawa. D’altronde è difficile che gli altri sappiano leggere nel suo cuore; la tempra è fraintesa con la tirannia; l’altruismo con l’obbligo di proteggere gli affiliati e i suoi sottoposti… per cui, il ritratto del vero Takafumi è sconosciuto ai più e vive di un’indefinitezza che Nill esprime di post in post. Qual è il vero volto del capoclan? E dove risiede la sua debolezza? Forse nelle stesse riflessioni che lo spingono a ponderare ogni mossa e ad essere esattamente la persona giusta e dotata in qualsiasi tipo di occasione.

Migliore citazione del mese

Il momento dell’addio di Safire, cui il ragazzo si abbandona per compiacere le decisioni del fratello più che per seguire la volontà del proprio cuore, è tanto delicato quanto amaro. Agli occhi di Diamond, il fatto che Safire sia tanto ligio all’ordine impartitogli ha il gusto dell’infedeltà e della rivalsa; in sostanza, il fratello suo subordinato è pronto a prendere il largo e ad abbandonarlo per sempre, finendo fra le braccia della Principessa della Luna. Ed ecco che si schiude il turbamento di un uomo, non più padrone delle proprie emozioni; Safire che supplica di dare un commiato amichevole all’altro, oramai perso nella convinzione di essere stato beffato e tradito, da quella che dovrebbe essere una sua pedina pregiata.
È il momento dell’ebbrezza del vino, di una lussuria preannunciata, ma che non dà la previsione di una vera soddisfazione per alcuna delle due parti. È dolorosa, passionale, ma altrettanto crudele, poiché i due non sanno comunicare e trasmettere le emozioni reciproche, se non attraverso uno scoglio che li distanzia maggiormente.

Miglior personaggio secondario del mese

Ronnie è l’amico che tutti vorrebbero. Quello sempre presente, capace di mettersi in gioco, di spingere gli altri ad accettare i propri errori e di battersi proprio per questo, al punto di risultare irritante o di troppo sulla scena. Non solo conosce benissimo i pensieri e la personalità di Sanada, ma cerca di rimediare agli errori di Shoya e di mitigare l’atmosfera di un triangolo complicato e nel quale, volenti o nolenti, qualcuno sarà costretto a soffrire per la felicità dei due membri restanti.
Ronnie è una persona pulita, spontanea e dal piglio severo. Malgrado la pacatezza iniziale, sa subito tracciare una via più netta di pensiero, impartendo le battute di arresto necessarie a coloro che lo circondano. È proprio dai suoi discorsi, non come deus ex machina, ma come individuo, che i protagonisti sanno riflettere e avere il tempo necessario per comprendersi. È un personaggio cui è difficile non affezionarsi, soprattutto per i modi, non sempre ortodossi, ma mai inverosimili, di indirizzare gli altri verso la propria coscienza interiore.

Menzione Speciale

Un riconoscimento speciale va a due personaggi in particolare: Deshawn e Minami. Entrambi sono accomunati da una minuziosa attenzione all’evoluzione individuale nel corso delle rispettive role di appartenenza e da una cura molto sostanziosa alla loro psiche. Ambedue non sono molto naturalmente predisposti ad esprimere onestamente i propri sentimenti, se non con atteggiamenti di dubbia “maturità” in campo amoroso. Eppure, allo stesso tempo, sanno essere dinamici e passionali, a modo loro. Il canale attraverso il quale meglio esternano questo fattore è la gelosia.
In più, ambedue si sono affermati da soli, prendendosi beffa di un destino apparentemente già segnato. Deshawn lo fa in un mondo fantastico, con regole gerarchiche non meno rigide del contesto reale in cui vive Minami; il primo tuttavia dimostra una libertà di modi e di pensiero cui non sa rinunciare, mentre il secondo, pur dovendo rispondere a un capo, sa far comprendere di non essere prigioniero della propria vita.

Per questo mese è tutto! Ripasso il testimone alla nostra Seebaru per le recensioni del mese di Febbraio!

*spolvera la scrivania dopo la pausa estiva* Ahem. *coff*
Raccolgo il testimone dalla nostra Seebaru con molta apprensione, introducendomi nel topic come nuova Reader fissa dello yaoi. Che l'augello me la mandi buona. *sistema una piantina di cactus e un vasetto di yougurt per mantenere viva la competizione per l'acidità.
In ritardo sulla tabella di marcia vi porto le recensioni di ottobre.
Utente avvisato mezzo salvato // per chi non è famigliare al mio modo di recensire:
1) se abbiamo un rapporto d'amicizia, non aspettatevi trattamenti di favore;
2) se ruolate con me, idem;
3) se adoro il modo in cui scrivete, idem;
4) se parliamo giorno e notte o scherziamo o abbiamo gusti simili, idem;
5) se siete staffer o avete autorità qui dentro, idem;
6) se siete nuovi o ignorati o idolatrati o ammirati da altri, idem;
7) se la vostra role ha tanto seguito o è stata sempre premiata, idem;
8) se amo un vostro pairing (preso da un fandom qualsiasi), idem.

A maggior ragione, se non vi conosco o non ho giocato con voi, sappiate che per me conta solo come scrivete e partite tutti da zero con me, nessuno è in svantaggio. Non fatene una questione personale se non verrete premiati, perché non lo è né lo sarà.
Bene, dopo questa parvenza di serietà, narcotizziamoci con la pappetta:

Una role (molto) romantica dalle atmosfere apparentemente placide e fluff. Junsu è un ragazzo che tenta di guadagnare abbastanza per concedersi il lusso di portare avanti i propri sogni nel cassetto; è dolce, talvolta pieno di fisime di retaggio adolescenziale, che strappano un sorriso in un individuo di 24 anni. Piccole paranoie capaci di rientrare nel vissuto di ogni lettore: dall’abito malmesso a una tinta non adatta al proprio fisico. Si crea dunque una facile immedesimazione nella figura di questo personaggio, amante della vita, che aderisce a una realtà condivisibile dai più, integrato in una routine comune.
Junsu sfreccia sui propri pattini, cosi come lascia in chi legge una traccia che conquista; nel medesimo modo rapisce lo sguardo di Ethan, strappandolo da quello che è il suo habitat naturale (la squadra, l’hockey). Per un attimo sono i colori di Junsu, le movenze sulla pista gelida, a suscitare un’impressione plausibile di desiderio e di curiosità nella mente del giocatore e a sospendere il resto del mondo in una bolla ovattata. Il pensiero dell’asiatico non è facile da scrollare di dosso, in un animo tanto fragile, quanto in prima battuta sicuro di sé e macho, come quello di Ethan.
Entrambi i personaggi sono accomunati dalla loro passione per il ghiaccio: Ethan lo ama nella sua durezza, nella forza bruta di chi non riesce ad ammettere ad alta voce i propri pensieri e si limita a restare in un branco sicuro, dove sa brillare come atleta, ma in una posizione di stallo che non lo rende davvero libero. È un universo in cui lo scontro fisico domina e vige la legge del più forte. Di contro, Junsu scorre sul ghiaccio con una morbidezza implacabile, leggero ed etereo, mostrandosi padrone dei suoi mezzi; anche il suo sport ha a che fare con la fisicità ed è concettualmente vicino al suo equilibrio interiore. Sa chi è ed è in pace con questo suo lato personale; lui non ha bisogno di fingere, semmai omette una parte di sé ai genitori, ma non la rinnega.
La role è strutturata bene, con un’intesa reciproca fra le player, e mostra abilmente lo stile doppio dì vita tenuto da Ethan; quello scoperto, suo malgrado, in presenza di Junsu (quasi che il carattere di quest’ultimo s’insinui costantemente a fare breccia nel giocatore) e l’altro, tipicamente spavaldo e sfacciato, nel cuore degli Ottawa Winter Storm, nella culla di un’eterosessualità sbandierata, culto unico dei suoi membri. Aleggia pertanto un presagio amaro: lo scontro col pregiudizio, la necessità di accettarsi e di aprirsi; la tenerezza di Junsu è quindi percepita anche nell’ottica di un potenziale passo falso di Ethan (atteso e sospettato) e per questo fa più male. Il mood trasmesso è ottimo, il pacing non affrettato e rispettato nelle sue tempistiche.
I periodi sono ariosi, intrattengono e scivolano senza strascichi di pesantezza. Le tematiche spinose sono affrontate senza eccessi drammatici e con una naturalezza tale da rendere il lettore partecipe e attento. La complessità di Ethan è bilanciata da Junsu in maniera simbiotica e spiazzante, tanto da donare una marcia in più a un trope tanto classico, quello del jock e del ragazzo efebico. Le inesattezze lessicali, più ingenue che imperdonabili, sono fagocitate dagli stili di entrambe le giocatrici.

Asgard, patria delle divinità sotto il comando di Odino, reggente talvolta dispotico e ferreo, è il teatro di una storia fondata sulla fisicità, sul fremito di un contatto intimo non ancora instaurato, sempre teso in un desiderio represso.
Il re degli dei ha cresciuto assieme alla moglie Frigga due figli; Thor e Loki. In quest’ultimo non scorre sangue asgardiano, poiché egli è un ‘protetto’, ostaggio di una guerra vinta da Odino. Spenta la volontà di uccidere il bambino, la divinità lo alleva come un figlio di secondo letto, destinato a vivere nell’ombra del legittimo erede, un sole raggiante… che ingrandisce la sagoma oscura e ne amplifica paradossalmente il potere, distogliendo l’attenzione da essa, dalle sue mire e dalle tetre macchinazioni.
In questo senso, i sentimenti negativi che dimorano in Loki, a lungo taciuti, hanno il tempo di sedimentare e tradursi in intrighi sepolti dalla maestosità di un non troppo scaltro Thor.
La rivalità sottesa a questo tipo di rapporto “incestuoso” non viene esplorata nelle sue accezioni più profonde; permane come alone di mistero, accantonato per dare spazio alla componente erotica, al gioco degli sguardi, alla toccata e fuga di possedere l’altro senza esserne annullati. Loki si tende e si nega alla persona di Thor, in un confuso, consapevole, turbamento interiore. La luce esercita su di lui un fascino che lo prosciuga, lo indispettisce… perché non era un effetto contemplato nel disegno dell’ambizione personale, tutta devota al potere e non all’impetuosità del sentimento, alle sue contraddizioni.
Loki non cede al germogliare delle nuove emozioni, ma paga lo scotto della gelosia nei riguardi di Sif, percepita con ostilità e ridimensionata in più occasioni. Non è solo la natura infida di Loki a determinare un’incompatibilità di carattere fra i due, che lascia degenerare tutte le loro interazioni; Thor, come (ignaro) destinatario delle attenzioni di entrambi, rappresenta motivo di rivalità e di scontro. Da un estremo, c’è una donna sua amica, che marca il territorio ed è preoccupata per la sorte del dio, a contatto con un essere immortale che potrebbe tradirlo, farlo soffrire e che lei ritiene immeritevole del perdono che gli accorderebbe il buon Thor. Realisticamente, Sif mostra tutta l’impulsività e l’intuito femminili.
Nell’altro angolo c’è Loki, il dio degli inganni, corroso da un’attrazione che non gli permette fino in fondo di essere onesto, nemmeno col proprio mondo interiore. Thor, invece, continua ad essere un bagliore abbacinante, in grado di accecare persino le sue poche cellule neuronali. I suoi istinti tradiscono un desiderio pari a quello del fratellastro, ma subconscio, non ancora affiorato del tutto. La sua ingenuità mette a dura prova i rapporti e spesso ne determina la frattura, a cui Frigga tenta di riparare.
L’affiatamento rende, se possibile, ancora più veloce la role. L’incontro nella taverna e il momento del tanto auspicato bagno sono scene che rubano spazio a una trama più articolata. L’intreccio a monte, infatti, è scarno, per non dire esile, in quanto le giocatrici si concentrano sull’atmosfera intima. La caratterizzazione psicologica è ancora su un piano acerbo, perché la role è giovane e fornisce semplici pennellate di atteggiamenti classici dei due personaggi, senza scavare a fondo negli stessi, né attenendosi in toto alle loro schede. Thor, nella sua semplicità passionale, convince più di Loki, ancora aggrovigliato e poco calcolatore rispetto ai suoi canoni. Di lui emerge soprattutto il lato farsesco, oltre quello in balia della seduzione; ghigni, battute che ricordano molto i frangenti comici dei film recenti (nei quali è stato ritratto), ma scarsa sostanza a renderlo temibile o stratificato.
La forma palesa delle insicurezze e spesso tende ad acquisire una voce unica, consuetudinaria rispetto ad altre role in cui le player sono immerse. (Per fare un esempio: Loki ricorda da vicino Grimilde nella sua negatività, negli sfottò, nonostante i due personaggi abbiano solo la solitudine come collante, oltre lo stato di emarginati.)

Direttamente dalla saga videoludica di Ace Attorney viene compiuta una trasposizione non fedele della trama e dei personaggi principali, i due avversari della corte per antonomasia: Phoenix e Miles. Diversi comprimari appaiono nel corso della giocata, tramite cammei o fasi più durature, a ravvivare la relazione.
L’attrito fra il procuratore Edgeworth e l’ex rookie, l’avvocato difensore Wright, ha vecchia data. Il loro cammino si è diviso dopo la scuola elementare, quando Miles perse suo padre Gregory e venne adottato dal procuratore Von Karma, acerrimo rivale del defunto Edgeworth padre.
Sono le aule di tribunale a riunirli, nel male (poiché Miles non si fa scrupolo di manifestare un’inimicizia viscerale e sanguigna, irrazionale e prorompente rispetto alla sua introversione, tradotta in una postura snob e afflitta da un altisonante complesso di superiorità) e nel bene (è grazie all’intervento di Wright se il procuratore viene scagionata da una terribile accusa di omicidio premeditato. Non solo; il processo getta una cesura riparatrice e salvifica per il passato di Edgeworth, allentando la sua ossessione nei riguardi del passato e cancellando il terrore di aver ucciso, per un tragico errore, la persona che amava di più; suo padre). Il tribunale diventa la culla delle loro interazioni, la bagarre di uno scontro sotto cui è sepolta un’attrazione rabbiosa dal lato del procuratore e un sentimento puro, covato nel silenzio da Wright, proprio nei riguardi dell’uomo che ha sconfitto, ma mai conquistato (almeno a sua conoscenza) durante i processi.
Un’improbabile sbronza, da parte di un uomo tanto irreprensibile quanto abbottonato come Edgeworth, provoca un avvicinamento intimo burrascoso, getta dubbi, negazioni a seguito del contatto fisico, di uno scambio non preventivato, abbandonato alle redini dell’eros. I tira e molla si susseguono come nella stragrande maggioranza delle role del duo: litigi focosi e senza lesinare insulti o fraintendimenti estenuanti, incomprensioni negative, urla e pensieri di ricongiunzione trattenuti, cosi come l’affetto, non ammesso, ma più forte dei vari strattoni. L’impronta stilistica e la personalizzazione, quindi, sono evidenti e collimano in una divergenza dai trascorsi individuali dei personaggi, dati per scontati in questa sede. Le fila della storia prendono il via dopo i successi di Wright e la “caduta” di Edgeworth e ne mettono a nudo l’interazione fisica, più che amorosa.
La role ingrana velocemente con la sua successione di botta e risposta, giocando anche la carta della convivenza forzata; una mossa probabilmente scontata (e giustificata senza uno spessore solido), ma efficace nella piega dei successivi eventi.
La caratterizzazione è altalenante, perché non concilia due punti essenziali della narrazione: la libera interpretazione, attraverso la quale viene impressa ed espressa la modalità in cui il giocatore muove la sua creatura e la derivazione dall’originale, da cui le creature fittizie prendono il calco. Ambedue le giocatrici danno una versione personale (legittima) ai protagonisti, ma spesso ne perdono il controllo, in quanto tentano di rapportarli con il Miles e il Phoenix della saga. Ne risulta un tratteggio non riuscito e incoerente; a metà i personaggi sono delle giocatrici, con dati rimaneggiamenti nel carattere e nelle peculiarità, dall’altro portano un nome e un volto che non rispecchiano, se non per sommi (e contraddittori) capi. È un’azione che non crea equilibrio nella gestione della coppia, dal punto di vista del racconto. Si ha l’impressione che essi siano quindi divisi tra la propria natura primitiva (quella videoludica) e l’accezione in cui sono contestualizzati. In entrambe le situazioni rischiano, più volte, l’ooc, forse a causa di un adattamento (già a partire dalle schede) che perde colpi in fatto di logica.
Phoenix, dipinto vezzeggiativamente come un idiota, si dimostra in più di un’occasione (troppo) perspicace, autoconclusivo e vincente senza un reale motivo che lo porti in vantaggio rispetto a Miles, se non la ripetuta (imperdonabile) disattenzione/distrazione del secondo. Quest’ultimo, d’altro canto, in svariate circostanze rinuncia al proprio linguaggio distaccato e forbito (con il pretesto che Wright lo tiri prepotentemente fuori da uno stato di grazia) per addentrarsi in comportamenti audaci, volgari, che non si confanno al background, all’educazione ricevuta e alla sua natura introspettiva. Sarebbe stato un percorso più attinente e veritiero con una graduale evoluzione ed escalation della pressione indotta da Phoenix. In scheda, anche, questa particolarità viene contrastata dal libertinaggio: Miles è aggettivato come timido e chiuso, eppure il suo lato sessuale spregiudicato non trova un riscontro narrativo razionale.
In definitiva l’affinità stilistica e l’esposizione genuina (il più delle volte vissuta e improvvisata, non studiata) non nasconde gli oggettivi difetti alla base, riscontrabili dagli appassionati o dai conoscitori della saga (per quanto essi restino in ombra agli occhi di un neofita).

Lou e Valentine sono uniti da un percorso di solitudine; entrambi sono stati “abbandonati”, seppur con un’interpretazione differente della parola. Lou non conosce l’identità paterna e vive in prima persona la malattia terminale della madre. È un adolescente quando rimane lui stesso come unica traccia della propria famiglia; Meng lo toglie dalla strada, ma non ci riesce per molto.
La realtà di un lavoro sottopagato, di una routine tranquilla con le solite lotte di denaro, mai sufficiente per concedersi qualcosa soltanto per sé e i sogni tanto sperati, non vince contro la promessa del guadagno facile. Lou è abbagliato e attirato dalla bella vita, dagli sfizi che i coetanei possono togliersi, mentre lui è guardare con un grembiule in mano, nel locale di Meng Zei.
Il miraggio della mala giapponese lo coglie. Assorbe la sua vita, precipitandolo nella spirale della droga, avviluppandolo con una calda menzogna. Perché le banconote arrivano, sebbene non quante ne avesse sperate nella sua fantasia di ragazzo, pronto a sfuggire alla fatica e agli affanni di un’esistenza magra. Guarda anche in faccia all’orrore; tanti sono i segnali negativi che riceve. Le percosse che prende e dona; le cicatrici, i pericoli scampati per un pelo.
A questo punto non è più un adolescente minorenne; il gioco d’azzardo gli strizza l’occhio, lo invita a provare un piacevole quanto mai allettante rischio. E torna l’illusione del lusso, la vita movimentata. E Lou è di nuovo solo; perché la morte gli ha tolto anche il vecchio Meng.
Valentine, d’altro canto, è un “orfano”. Per anni vive all’interno di una struttura, osservando con delusione crescente come lui non venga scelto da nessuna famiglia. Un doppio rifiuto, dopo quello dei genitori naturali; un negare la sua possibilità di ricevere calore a cui si abitua.
Prima che anche lui conosca la strada, scopre che era la morbosa attenzione del direttore a trattenerlo fra quelle mura. La sua ostilità sfocia in un tentativo di stupro ai suoi danni. È da allora che Valentine comincia a fare la vita e col tempo diventa esigente. Non tutti i clienti fanno per lui; solo quelli con la grana.
L’incontro fra i due dovrebbe restare il frutto di una singola notte, uno scambio di affari, il capriccio di un uomo ubriaco e il guadagno di una prostituta.
Affatto; diventa un pensiero ricorrente per Lou, che alla prima occasione rende Valentine suo. Non rinuncia neanche quando il ragazzo, atterrito, svela la crudezza del giro in cui Lou è invischiato. Un uomo che lo copre di denaro, un pesce piccolo che comunque ha dalla sua una sorta di onnipotenza nel gestire le vite di chi lo intralcia.
Lo stile, grezzo e sanguigno, si adatta bene al mondo sporco e amaro del marciapiede. È grasso: lurido nel dipingere la desolazione e un eros macchiato dalla carnalità affamata, un appagamento ricercato spesso con una brama fuori di sé, frenetico come il brivido febbrile di una slot machine. Il microcosmo in cui sono inseriti i due protagonisti è movimentato, rumoroso. La morte passa silenziosa, mentre i corpi si abbracciano, i beni materiali si accumulano.
L’adrenalina delle premesse è afflosciata nelle fasi successive, quando si instaura una certa ciclicità nel modo di relazionarsi dei due protagonisti; unica costante la fisicità, la ricerca di un contatto che mette fine alle divergenze e le appiana nel momento dell’amplesso. Dopo, torna il gap degli alterchi, la volubilità di Valentine e l’ostinazione predatoria di Lou; ambedue entrano in collisione e poi si immettono in una dinamica tra agnello e lupo... e l’uno passa la mano di poker all’altro. Sul piatto ci sono i sentimenti e l’equilibrio della propria identità.
La storia è trainata da una narrazione che non si prende sul serio e cerca di porre l’intrattenimento sull’ambito carnale, a cui è dato lo spazio maggiore (non solo col pretesto di offrire campo alla professione illecita di Valentine). In questo senso, è prevedibile lo sviluppo, poiché l’assetto di gioco permette di carpire le intenzioni delle due player in anticipo, a post di distanza dall’effettiva parentesi sessuale, che non tarda mai a giungere. Le congiunzioni degli avvenimenti sono lineari, talvolta grossolane nella loro concatenazione e le tematiche, per quanto adulte, sono accolte con malizia e pulizia sul piano contenutistico, in modo da snellire (senza aggirarlo pienamente) l’effetto melò. Il passaggio da un post all’altro subisce, nonostante la scorrevolezza, della differenza di narrazione, che appare sbilanciata, poco complementare, per quanto sia attinente anche alla distanza delle concezioni di stile di vita dei protagonisti.

Mikage è ossessionato dalla scienza. Vive in funzione di una possibile scoperta che possa condurlo a un obiettivo più grande e ripagarlo degli anni di studio; occulta questa passione come può per serbare la propria reputazione e anche perché è piuttosto geloso delle sue ricerche (sia mai che qualcuno gliele soffi a un passo dal brevetto!). Soprannominato da tutti Chiga, lo studente universitario è un ragazzo con il pallino del controllo, spesso vittima di ansia e nervosismo, che lo conducono a stati emotivi alterati.
Il soggetto di studio perfetto si presenta per puro caso, con un iniziale diverbio, che rivela la natura lunatica dell’aspirante uomo di scienza.
La cavia da laboratorio è il bel Natsui, un modello che si nasconde dietro un “camuffamento” da studente diligente, di aspetto ordinario e “nerd” (utilizzando quindi un elemento canonico degli shōjo tradizionali). È spensierato come sempre quando rimane vittima di un incidente, investito per l’ennesima distrazione. Risvegliatosi nella stessa strada, non ha memoria degli accadimenti, e prosegue per il suo cammino, finché non si rende conto che nessuno, eccezion fatta per Mikage (che incrocia per un evento fortuito), riesce a vederlo.
Natsui non ha memoria della propria identità, né sembra ricordare altro che lo riguardi; coerente con il proprio carattere sopra le righe e bambinone, accetta di buon grado (anche esultando) la sua condizione di ectoplasma. Il passaggio traumatico avviene gradualmente, quando le prime insicurezze si affacciano sulla sua nuova vita e gli rendono palesi la solitudine, l’impossibilità di interagire con gli altri, se non con il solo Chiga, che percepisce come una sorta di ancora nel mondo dei vivi. Credendo di essere morto, ignaro di avere ancora un’occasione per tornare al proprio corpo, Natsui accetta di diventare materiale di esperimenti per l’universitario.
I due non fanno scintille. La loro chimica tarda ad attivarsi, lasciando quindi nel lettore un’aspettativa che non può essere corrisposta nell’immediato, ma si crea lentamente, complici anche i post poco accurati, che non offrono spazio all’introspezione o alla psicologia nella loro stesura telegrafica, focalizzata sull’azione. I passaggi sono rapidissimi e leggeri da scorrere. Non portano granché suspance; tuttavia, hanno una loro gradevolezza, se non altro per le frecciatine che entrambi i protagonisti si rifilano, nella loro coabitazione difficile, fatta di paletti, gesti goffi e ritrosie.
I contenuti e la cornice sono strutturati debolmente. Non mancano scelte illogiche: l’errore di fondo è aver utilizzato un contesto col pretesto di trattarlo senza uno spessore e delle fondamenta che tengano assieme, nel suo complesso, la narrazione. La (fanta)scienza che tanto decanta Mikage, punto cardine ed epicentro della role (in quanto possibile strumento del risveglio di Natsui, nonché pilastro dell’intero personaggio di Chiga) è impostata con un estro fantasioso molto elementare, che non ha ragione logica di essere. Risulta un pretesto piatto, di poco interesse per il lettore, che coglie facilmente il mezzo che essa rappresenta. Non fungendo da contorno, ma appunto da elemento di primaria importanza (e non di lettura facilona), poteva essere integrato con una maggiore perizia, sia nell’esposizione, che nel momento delle sue effettive conseguenze all’interno della role.
Natsui subisce e si adatta al gioco imposto da Chiga ed entrambi i personaggi ne perdono in credibilità, con azioni al limite dei loro caratteri, altre volte esagerate per il tipo di circostanza e che sviano dalla naturalezza.

Robert lavora al Mamy’s Pub. È una persona superficiale e non fa mistero di adottare un atteggiamento frivolo in fatto di conoscenze e di relazioni. Ciò che accade a notte fonda non deve ripetersi; senza strascichi e conseguenze, tutte le conquiste finiscono col diventare un lenzuolo sporco, qualcosa di scomodo e sconveniente, di cui sbarazzarsi in fretta. Il giro di lavatrice compie il resto; la centrifuga strizza e annienta l’immagine degli amanti e la luce del giorno lascia filtrare gli stessi schemi: il dovere, la protezione… e poi torna la sera, durante la quale ogni cosa è concessa e gli occhi si fissano esclusivamente sul lato b dei clienti.
Per Robert si tratta di merce di scambio: non si accontenta di persone disponibili, ma si avvicina a coloro che desidera realmente. Non svende se stesso e non si offre se non è certo che l’abbraccio di piacere offertogli sia all’altezza delle aspettative. Però non sempre gli eventi girano a suo favore; difatti, incrocia un cliente alquanto spocchioso. Un bel faccino, sì… un inferno quando muove la lingua per sparare sentenze.
Quello che cataloga testualmente come stronzo non lo è affatto; Tetsuya è un irreprensibile docente universitario, circoscritto all’interno di abitudini pulite e di un’agenda fitta di impegni. Curiosamente è un professore di storia; proprio lui che ha tracciato confini dai trascorsi famigliari.
Oramai un uomo stabile, che ha preso le distanze dal proprio passato difficile, temprato da scontri e frequenti attriti con i genitori, conduce un’esistenza dedita all’ambito professionale, con lo specchio movimentato dei club. Si affranca dalla casa natia in cerca di un proprio spazio personale, poiché rigetta quanto (entrambi i “vecchi”) possano donargli. Si realizza, si abitua a quello che diventa un meccanismo oliato di atti da compiere. Anche lui, giorno e notte si lascia andare a un dualismo di comportamenti.
Il loro incontro non è esattamente dei più cordiali; eppure fomenta la carica erotica e termina con un rapporto sessuale. Per Robert una storia già archiviata.
Il percorso di Tetsuya stupisce per la perseveranza con la quale si introduce nella vita di quello che, a tutti gli effetti, diventerà il suo interesse amoroso. La role prende una nota meno maliziosa e leggera, sviando dal cliché dell’incontro sporadico, l’avventura, che si complica in una relazione amorosa a pianta stabile. Viene introdotta la convivenza famigliare, con il personaggio di Albert, il fratello minore di Robert.
Ambedue le roler compiono una rivoluzione; un’inversione di rotta per caratteri fossilizzati in una quotidianità che è servita loro per sopravvivere, nel sacrificio di affermarsi o nella volontà di risparmiare agli affetti la sofferenza che si è patita in prima persona. Nonostante lampanti ingenuità di ritmo (in dislivello e spesso accelerato per le dinamiche), divario narrativo, errori ortografici e qualche forzatura da parte di Tetsuya nei suoi approcci al limite dell’autoconclusivo, la lettura è gradevole, incalzante e divertente, soprattutto nelle fasi iniziali di gioco, quando il flirt risulta stentato a causa delle spigolosità dei ragazzi. Si ha poi un leggero calo di intrattenimento nella seconda parte della role, quando i canoni della relazione famigliare instauratasi aprono un maggiore spazio alla dilatazione introspettiva. Il cambio di tono non esclude, però, il lavoro di caratterizzazione. La forma non è eccelsa, lo stile poco rifinito, “spiccio” e diretto; una scelta efficace soprattutto per il tipo di personaggi e per il loro confronto. Da parte di Lina c’è stato un buon lavoro nel tempo, perché con i suoi miglioramenti nell’esposizione è cresciuto anche Tetsuya, reso tridimensionale e senza l’ingenuità narrativa del primo arco (dovuta anche a una certa ansia nel raggiungere il punto di contatto e di primo ancoramento del duo). Viceversa, per ciò che concerne Mikki, il punto dolente sono le formule (avverbiali o locuzioni) che caricano informazioni intercalari al lettore, con il rischio di ripetere concetti già stabiliti in precedenza.

Un atleta brillante, capace di mettere in ombra la famiglia, baciato dal successo, orgoglioso e con la fame della vittoria. L’interesse per le sue abilità arriva quando è ancora minorenne; sotto l’occhio del riflettore, sotto la pressione delle aspettative. Tutto a uno stadio precoce e forse insopportabile per un ragazzo; eppure, lui lo gestisce, lo controlla, con l’entusiasmo di chi desidera giocare, di chi vede avanti a sé un traguardo e poi un altro. Smith vuole primeggiare, odia perdere e ama sentirsi un leader, un giocatore che fa la differenza, sul quale contare.
Ethan non è semplicemente il tipico giocatore rozzo e volgare, campionario di letteratura e cinematografia dello stesso campo. Si abbuffa, si contiene con i giornalisti, frequenta donne e si tiene alla larga dalle fan sfegatate.
Ninfa lo tratteggia con una grande presenza fisica ed emotiva, sebbene risenta di alcune incertezze nell’azione, visibili peraltro nella lettura d’insieme; è il ragazzo ben inserito nella complicità della squadra, quello che, a dispetto della leadership, subisce l’influenza di Connor, un compagno di squadra ottuso e poco tollerante nei riguardi dei diversi. Ethan non incarna comunque il santo martire di una società che induce a uno status in the closet; è dotato di una ruvidezza che di primo acchito infastidisce, di una serie di atteggiamenti ambigui che confondono e lo fanno risultare ipocrita, nonostante sia lui stesso a danneggiarsi, frantumando in due il suo modo di essere. Ne esce un quadro in cui il giocatore di hockey è chiamato prima ad apparire e a comportarsi secondo uno schema accettabile e consono all’icona che rappresenta; il giovane forte, smaliziato e vittorioso. Poi c’è il ragazzo muto, quello nel quale albergano passioni e pensieri insospettabili, che s’infiamma per la “danza” su ghiaccio di un altro maschio, che considera teneri due bambini sulla pista, ma non osa dirlo.
È il conflitto penoso dell’uomo, della sua immagine imposta come autoritaria, priva di sensibilità da un input collettivo sballato, dalla tradizione, dagli stessi coetanei. La confusione e l’affanno nel trovare un effettivo equilibrio, una via personale, fuori dal tracciato prestabilito, si rende chiara in un personaggio mai scontato, analizzato con un approccio bilaterale, sia da un punto di vista del carisma, sia da una più delicata incursione nella sua sfera intima, con un subtle text nei gesti e nei mutamenti.

Questo estratto sintetizza a dovere quello che dovrebbe (e avrebbe dovuto) rappresentare Miles Edgeworth (in uno dei passaggi più maturi e concentrati forniti da Kira, con un controllo attento della gestione); un uomo chiuso, un compartimento stagno dal quale non entra, né esce nulla che non sia sotto il suo mancipio. In un tribunale acclamava il padre, noto sostenitore della difesa, da lui idolatrato; e sempre nelle aule processuali, si è scandita la sua esistenza. Dapprima con rivali che nulla potevano contro l’inflessibile tecnica ereditata da Von Karma e che non intaccavano la sua proverbiale riservatezza; poi con il turbamento instillato da un principiante dai capelli a forma di porcospino.
Edgeworth è un individuo sostenuto, che ambisce alla perfezione; per anni ha potuto toccarla, cercando di rivalersi sui clienti della difesa, per lui più che semplici imputati. Si trattava di colpevoli da consegnare senza ombra di dubbio alla giustizia, scarti sociali da relegare al dovuto castigo, proprio come lui, nella sua solitudine era abituato a condannarsi.
La mancanza di fiducia negli altri, il fatto stesso che non necessiti di una spalla e lo urli, quasi a confermare il contrario, chiarisce la frattura emotiva del solitario, che dubita persino di se stesso, sotto una scorza di intraprendenza. Miles Edgeworth è, in effetti, una stella fissa, che brucia e si dilania dall’interno. Non è la presenza di Wright a ridurlo ai minimi termini, bensì la consapevolezza che trae il procuratore di fronte all’altro (e che nega) di scoprirsi vulnerabile, in errore, fallace.
La stizza copre bene l’incertezza e il secco rifiuto di aiuto, consiglio o vicinanza si traduce nell’insicurezza caratteriale di chi, per la prima volta, è scottato e invaso da sentimenti incapace di gestire.

Albert è il fratello minore di Robert e la fonte principale di preoccupazione di quest’ultimo. Nonostante l’aspetto innocuo, è un bambino furbo e intelligente, non proprio un angioletto acqua e sapone. Pur avendo una mente più acuta del normale, a causa dell’assetto famigliare e della situazione generale di sacrificio di Robert (che capisce, ma non interamente), rimane una creatura fragile, silenziosa, ma più disposta ad aprirsi agli altri e a sorridere del consanguineo. Ad Albert manca una famiglia e persino il fratello che tanto lavora per il suo benessere psicofisico non è presente; come risultato spesso lo scolaretto è solo, in balia di se stesso. Non si lamenta degli studi; in fondo si destreggia bene con le materie e sfrutta a fondo le possibilità che Robert non ha avuto. Il motivo è facilmente intuibile: rimossi i ricordi della vecchia casa, è consapevole che l’altro avrebbe potuto salvarsi da solo e invece lo ha condotto via con sé, rimanendo di fatto il suo unico nucleo famigliare.
Grazie ai guadagni del fratello frequenta una scuola dignitosa, la stessa che, a sua volta, aveva precedentemente ospitato come alunno il docente Niwa. L’incontro tra il piccolo e Tetsuya è studiato con una pesante debolezza di fondo: una coincidenza che non lo è completamente, ma appare volutamente incastrata nell’impianto narrativo e soprattutto nobilita la figura del professore agli occhi del lettore.
Senza dubbio l’escamotage sarebbe risultato disastroso se entrambe le giocatrici non avessero tenuto il freno su un punto di contatto, un ponte tra l’accademico e l’infante. Quel nocciolo è la fiducia reciproca, che si stabilisce spontaneamente, come è nella natura immediata dei bambini e dei ragazzi d’oro. Nel tragitto verso casa, dopo il salvataggio del bambino, i due rimangono con le rispettive menti, isolati in pause riflessive. Accogliere il peso del silenzio e abbandonarsi ad esso senza problemi è sinonimo di un’affinità reciproca, priva di imbarazzi e impazienza.