Giocata n°17; Gen.: Hentai; PG Asta: Aleksander Iacobus Kazati

Aleksander Iacobus Kazati X Sarah Gray

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    Giocata Numero: 17
    Personaggio Asta: Aleksander Iacobus Kazati
    Roler del personaggio: ~The Old Rhasyel
    Genere: Hentai
    Vincitore: Xasar

    Offerte che sono state fatte al personaggio d'asta: Tre desideri da esaudire nel limite delle possibilità della stessa offerente.

    Motivazioni della scelta: In quanto unica offerente, Sarah Gray di Xasar si è aggiudicata il figone sopracitato. C'è anche da dire che in caso di partecipazione di più persone/PG, l'offerta lo avrebbe allettato lo stesso, perciò è di per sè molto probabile che sarebbe stata scelta in ogni caso.
     
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  2. Xasar
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    The Bakasaka Hotel
    ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦
    7 Stelle


    image_hotel_exterior_night_1

    Un luogo moderno intriso di un'antica tradizione. Gli ambienti interni in completo contrasto con gli esterni, sembrano voler gridare la loro immortalità ed eleganza a tutti coloro che, ricchi e sfondati, hanno l'onore di avventurarsi oltre la Hole, verso le sue pregiate stanze, raffinate e bordate di oro.

    Hole
    Stanza numero 407


    Sarah11
    Sarah

    Non si scompose minimamente alla reazione del ragazzo, osando definirla tra sè e sè decisamente "esagerata". Non le sembrava proprio il caso di prendersela per averlo chiamato Signor Kazati, ma non potè che sorridere a quella sua scelta di proloquire con lei. Si alzò così dal proprio posto, lo sguardo dai fluidi occhi porpora che lo scrutavano in cerca del nulla. Girò appena sui propri tacchi prima di voltarsi verso l'uscita della casa d'aste.
    Una cosa era certa, lei non avrebbe preso ordini da nessuno, tantomeno da un ragazzino che vantava soltanto un cinquecentesimo dei suoi anni. Millenni alle sue spalle e ne aveva viste di cose, passate altre, ma non si sarebbe mai fatta mettere i piedi in testa.
    -Liberatelo pure. Confido che mi seguirete senza fare storie.- proferì prima di allontanarsi, salutando eligor con un cenno della testa. Talmente abituata alla sua presenza che sicuramente sapeva che fosse lo stesso anche per lui.

    Via da quel luogo, attraverso le strade impervie della città. Nessun mezzo per dirigersi al posto prestabilito, nè un taxi, nè un'altra sorta di passaggio. solo e soltanto le proprie gambe. Aleksander la stava seguendo, sì, anche se probabilmente con più riluttanza di quanto avrebbe sperato. Poco male. Sarebbe giunto dinnanzi alla sua dimora e cosa avrebbe fatto? Avrebbe continuato a tenere in volto quell'espressione corrucciata o si sarebbe finalmente disteso.
    La vampira non fiatò, non disse una singola parola per tutta la durata del tragitto, limitandosi ad ignorarlo e sorridendo tra sè e sè. I suoi pensieri rincorsero Mezzo, la solidarietà verso quell'uomo che ora era chissà dove. Lo attendeva, incuriosita dal suo presente, il suo passato, vogliosa di guardare in lui, approfondire a livelli più decisi la loro conoscienza. Un pensiero rivolto a te, drogato... per un attimo l'aroma di caffè volle avvolgerla, ricordarle quanto ne fosse impregnata la sua casa. Rimembrò l'incontro con la cacciatrice, Hikaru, e ne rimpianse la fuga così prematura.
    Ebbe giusto il tempo di riprendere i contatti con la realtà che la facciata dell'hotel si innalzò davanti a loro. Fu allora che voltò finalmente la sua attenzione verso il russo e lo invitò ad entrare senza tanti convenevoli.
    Varcata la soglia dell'ingresso, il proprietario ed un facchino la accolsero calorosamente, chinando la testa mentre il rpimo di questi le porse la carta magnetica della sua stanza. La prese, morbida come un giglio, ringraziando doversosamente, prima di avviarsi verso l'ascensore ed attendere l'ingresso del ragazzo. Aveva il torso scoperto, una bella pelle lesa da innumerevoli cicatrici. Non le era difficile immaginare come se le fosse procurate, ma indagare non le interessava troppo. La sorprese semplicemente che i due dell'hotel non avessero fatto caso alla persenza del ragazzo, forse per il suo strano abbigliamento o forse perchè dire qualunque cosa contro i gusti di Sarah era un serio errore.
    Una volta che fu entrato premette il tasto numero 4, l'ultimo piano. La direzione era la sua stanza, la 407.
    Lungo silenzio all'interno di quella piccola scatola colma solo di un cadavere ed un essere vivo. Gli occhi rossi di lei continuavano a brillare, persi nel vuoto avanti a sè. L'istinto predatorio, la voglia di cacciare, non si erano mai annullati in lei. Quel giorno aveva preferito fare il ragno che si procaccia del cibo, invece di attendere nella sua dimora come una tarantola. Scelta errata? No, non proprio.
    Quando le porte dell'ascensore si aprirono davanti al suo volto non esitò ad uscire. Percorse il corriodio con estrema calma. I suoi passi s'ingranfevano silenziosi su quella finissima moquèt di color oro. Arrivò davanti alla porta della propria stanza, rifinita da piccoli intarsi argentei ed incisi sulla sua sommità vi erano le cifre che la numeravano. Passò la carta magnetica lungo una fessura a lato e si aprì in uno scatto.
    -Prego.- sussurrò appena, l'aria disinvolta mentre entrava per prima, lasciando che le soffici luci tenui della stanza illuminavano tutto d'un color caldo tramonto.
    Si tolse le scarpe, posandole accanto al suo letto, calpestando il parquèt con i piedi scalzi e freddi, senza sentire alcuna differenza, per poi andare a sedersi alla sua solita poltrona, rivolta ora verso Aleksander. Gli fece poi cenno di sedersi su una accanto a lei con un delicato gesto della mano. Di lei uno sguardo avido, una nebulosa carica pronta ad esplodere ad un minimo passo falso di quella pulsar.
    -Ditemi dunque...- proruppe accavallando le gambe e sistemandosi più comodamente sulla sua poltrona, lasciando che i suoi riccioli ricadessero morbidi sulle spalle chiare e pallide -... quali sono i vostri desideri?- un sussurro lieve, poco più di un sibilo. L'oscurità era tagliata da quel bagliore incandescente sul suo volto. Altro che kalinka, in lei c'era il fuoco e la natura che divampava, che assaporava ogni istante, ogni attimo in cui egli respirava diffondendo il proprio aroma nella sua stanza. C'era ancora l'odore del sangue di Nicholas Wolf, per quanto ancora sarebbe rimasto?
     
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    Aleksander Iacobus Kazati

    "My name is Alex Mercer. I'm the reason for all this. They call me a killer, a monster, a terrorist... I am all of these things."

    - Alex Mercer.




    strangeshocopia

    No, Aleksander si era sbagliato. Quella donna non era assolutamente umana, e quello che sentiva nei suoi confronti non era irritazione: era la sensazione di rabbia smisurata, quella che provava nei confronti di chi credeva di essere al di sopra di tutti, e di poter disporre della vita delle persone come se fossero dei giocattoli nelle sue mani; la stessa sensazione che aveva provato quando il commando si era accinto a fucilarlo davanti a suo padre, o come quando si era trovato a dover affrontare una quantità enorme di G.F.D.P., Gran Figli Di Puttana, ma della peggior specie. Quella donna era della stessa razza, la stessa arroganza che poteva avere una mezzasega con un fucile in mano: un'arroganza codarda, che avevano solo le persone che avevano il coltello dalla parte del manico, come se avessero la certezza di non poter essere toccati. Nel ragazzo si generò il disgusto.
    Si massaggiò i polsi appena liberi dalle manette, controllando se fossero rimasti dei segni, trovandone un paio, e assistette all'impossibile: si rigenerarono all'istante sotto ai suoi occhi. Rimase fermo qualche secondo, sgomento, mentre ormai la sua "padrona" s'era allontanata d'un pezzo, strabuzzando poi gli occhi e affrettandosi a raggiungerla, camminandole poco più dietro, come fosse un bodyguard. Si sentiva quantomeno imbarazzato a camminare in mezzo a così tanta gente con quegli abiti così succinti ed ambigui, tanto da attirare l'attenzione di ben più di una ragazza e qualche omosessuale, che gli si avvicinarono come per invitarlo, ma che vennero malamente respinti con uno spintone e un ringhio; ben presto la folla smise persino di adocchiarlo, dato che nei suoi occhi in quel momento non v'era nulla di umano. Si affrettò a rimanere vicino a Sarah Gray, più per evitare gli sguardi della gente, che per altri motivi, e si trovò a chiedersi perchè tra tutti gli fosse capitata una persona del genere. Non che avesse importanza, beninteso. Si stupì enormemente quando vide la struttura nella quale erano diretti: un Hotel a 7 Stelle, e detto francamente, Aleksander non ne aveva mai visitato uno che ne avesse più di sette. Si sarebbe dunque guardato parecchio intorno, anche se con circospezione, non appena la soglia venne varcata, ma rimase comunque ad una distanza accettabile dalla sua guida, entrando nell'ascensore squadrandola con sguardo sempre più incazzato. Non si era accorto degli occhi che aveva, quando si era dato un'occhiata allo specchio non ci aveva fatto caso, e molti che conosceva probabilmente avrebbero detto che quelli erano occhi del diavolo. Probabilmente avevano ragione, ma Aleksander era qualcosa di più, doveva solo sapere cosa; aveva provato a fingere di essere un umano per molto tempo, ma qualcosa l'aveva sempre tormentato. Con tutte quelle ferite, come aveva fatto ad uscirne vivo? Aveva sempre seppellito le domande con noncuranza, forse non voleva sapere nemmeno lui la verità, e forse fu anche l'istinto di preservazione che lo costrinse a non guardare i suoi occhi allo specchio. Percorse con la vampira il corridoio, ed entrò nella stanza con circospezione, come se si aspettasse una trappola: riflesso lasciato dagli anni di strada. La osservò con diffidenza, mentre lei camminava verso il letto, si toglieva le scarpe, e si sedeva infine su una poltroncina, facendogli cenno di fare altrettanto su una poltrona praticamente attaccata. Il ragazzo continuò a fissarla, e indietreggiò ulteriormente verso la porta, afferrando una qualunque sedia (e per un Hotel a 7 Stele, una "sedia qualunque" era una da re) e sedendocisi sopra, ma a debita distanza dalla vampira. Ora era a metà tra il buio e la luce, coi lineamenti dei muscoli resi ancora più accentuati dalla flebile luce, e il volto totalmente nell'oscurità, con solo due enormi pozze gialle e ferine che scrutavano l'essere che aveva davanti. Silenzio, ancora silenzio, e infine le parole della donna. Le ascoltò con nervosismo, perchè era nervoso, non poteva negarlo. Aveva davanti a sè quella che all'apparenza pareva una semplice donna troppo sicura di sè, ma lui sapeva, aveva imparato che le apparenze ingannano sempre. E rimase ancora in silenzio, valutando le sue parole, e chiedendosi se fosse stato in grado di pagare il prezzo che avrebbe chiesto qualunque donna d'affari. Qualunque fosse stato, avrebbe dovuto ripagarlo. - E il prezzo di ciò che chiederò? Sono certo che ogni cosa abbia il suo prezzo, e immagino lei sia una donna d'affari. E in quanto tale, m'aspetto una dose di intelligenza da lei. - Aveva optato per l'approccio diplomatico. Per quanto il disprezzo fosse palpabile, le aveva dato del "lei". Forse era ironico, Sarah forse avrebbe detto che "aveva imparato il suo posto", ma la verità era tutt'altra: semplicemente, Aleksander non era stupido. Era orgoglioso, ma non stupido, e sapeva che gli affari andavano in un certo modo. Se voleva che le sue richieste fossero esaudite, aveva bisogno di fare una sola cosa: dare l'impressione di essere in una posizione vantaggiosa, perchè era quella la chiave di ogni affare. Il difficile era l'essere quello in vantaggio, perchè c'era un piccolo appunto da tenere in considerazione: era lui che era stato comprato, e non viceversa. E la cosa lo riempiva di una rabbia mostruosa. - Anzi, lasciamo perdere. Tanto sono disposto a pagare qualsiasi prezzo. La morte non mi spaventa, non è che la parte migliore, sotto certi aspetti. - Era quello che veniva dopo, il terribile, Sarah lo sapeva benissimo. Un'eternità passata in quel modo, chi meglio di lei poteva saperlo? Eppure quel ragazzo, quel bamboccio (al confronto) che aveva davanti a sè conteneva così tante esperienze dentro di lui che, se lei gli avesse mai raccontato la sua storia, Aleksander si sarebbe quasi sentito in sintonia, e avrebbe pure potuto dirle: "Io ti capisco." Ma lei non gli aveva raccontato la sua vita, nè era suo obbligo farlo, a meno che lui non l'avesse richiesto in uno dei suoi tre desideri... Ma lui non aveva intenzione di sprecarli in modo così banale. - Non posso essere sicuro del fatto che sia una donna d'onore, Signora Gray. Perchè comprarmi solo per farmi esprimere tre desideri? Cosa c'è sotto? Perchè C'E' qualcosa sotto. - L'avrebbe fissata negli occhi intensamente, sentendosi leggermente irrequieto di fronte a quegli occhi inumani (da che pulpito veniva la predica, poi...), e pentendosi di non aver preso con sè qualcosa per difendersi. - Ma questo mi sarà svelato dopo, immagino. Numero uno. - Sollevò un dito, ficcando la propria mano nei pantaloni, e ritirandola subito dopo, scoprendo la foto di una ragazza alquanto carina, una che aveva un nome: Soniko Minato. - Entro breve verrò richiamato dalla Madre Russia per entrare nell'Esercito della Federazione. In caso dovessi schiattare, perchè non si può mai sapere, desidero, anzi: esigo che le venga elargita anonimamente una somma non indifferente. Che le sia dato tutto ciò di cui avrà bisogno, e se qualcuno si azzarderà a farle del male, se sarò morto, tagliategli la fottuta gola, altrimenti ci penserò personalmente. La amo, e non voglio che le accada nulla, e mi aspetto che anche TU le stia alla larga, tranne per darle dei sussidi. - Silenzio, sguardo fisso sulla vampira millenaria, col secondo dito sollevato. - Numero due. Tu non sei umana. No, di figli di puttana ne ho visti tanti, ma con quegli occhi mai, e immagino che ci sia qualcosa che ho bisogno di sapere. Parlami di te, e se necessario io farò lo stesso. - Ma l'ultimo? Quello era un problema anche per lui, non sapeva proprio cosa esprimere. - Il terzo e ultimo... Supercazzola prematurata con scappellamento a destra come se fosse antani anche per il direttore con tanto di dito che stuzzica nella cappella a sinistra, senza contare il posterdati, l'articolo 14 e la prefettura. - Silenzio. - No, scherzavo. Non ho un terzo desiderio per ora. Sarei lieto di conservarlo per dopo, in caso ci sia una seconda opportunità di esprimerlo. Ora come ora, tuttavia, la invito a procurarsi il proprio pagamento... Ma in anticipo.






     
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  4. Xasar
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    Sarah11
    Sarah


    Riusciva a leggere la diffidenza nei suoi occhi, in quel giallo demoniaco che in qualche modo le fece mal pensare di lui. Gli sorrise comunque gentilmente, ammettendo a sè stessa di sentirsi un palmo sopra di lui in molte cose, ma stette comunque ad ascoltarlo, osservare ogni suo minimo movimento ed il blaterare nervoso su quella poltrona. La luce lo sfiorava appena, giocando con i suoi lineamenti, rendendolo intrigante ed al contempo misterioso.
    Aveva notato solo in quel momento che le manette gli erano tornate come per magia ai polsi. Che fosse un individuo così pericoloso da dover costringere Eligor a tenerlo imprigionato a forza? Sarah stentava a crederci. Eppure in tutti i suoi pensieri, qualcosa di lui la sorprese, costringendola ad aggrottare lievemente la fronte nella speranza di capire a cosa si stesse riferendo. Parlò di un pagamento, qualcosa in cambio e probabilmente aveva ragione... ma quel "lei" così forzato che le diede, non potè evitarle una soffice risata divertita. Evidentemente non doveva stargli molto simpatica, ma non se ne curò oltremodo.
    Intanto, in una parte remota della suite un fischio preannunciava che un po' di lieto relax era pronto. Solo 3 minuti d'infusione e il tè si sarebbe servito. Prezioso, nero ed ambra, un aroma del tutto particolare. Non vedeva decisamente l'ora di berlo.
    Aleksander ritirò poi quella sua curiosità, prendendo posizione con un "tanto la morte non m'interessa" facendo salire gli angoli della bocca della giovane vampira in un valzer da sogno. lo guardò come se quella fosse la più divertente delle sfide, gli occhi luminosi che lo circoscrivevano come giochi di stelle nel cielo. Ma davvero? si ritrovò a pensare con tremenda flemma.
    Non gli rispose, almeno per il momento. Primo desiderio, nulla di cui lei non potesse occuparsi quando fosse venuto il momento. Fece ciondolare la mano come se fosse la cosa più facile del mondo, incitandolo a proseguire.
    Il secondo la fece rimanere lievemente stupita. Tutte quelle persone che lei aveva prelevato dalla casa d'aste non s'erano mai interessate al suo passato e non si erano chiesti come fosse potuta divenire una vampira. Era forse strano e particolare che proprio Aleksander, uno a cui lei non stava neanche tanto in grazia di potersi interessare di simili concetti? Ancora una volta non gli rispose.
    Ascoltò ogni cosa avesse da esprimere ed ogni suo più strano modo di dire al quale lei stessa rimase spiazzata. Ci fu sempre silenzio ed alla fine egli optò per tenersi l'ultimo per dopo. Perchè rifiutare delle simili richieste? Non erano niente di particolarmente difficile.
    Una teiera e delle tazze da tè vennero portate su un tavolino al centro, tra le due poltrone, da spirali di piante scure. In quel limbo tetro di penombra era un po' come se fluttuassero nell'aria. Due contenitori, uno per Sarah, uno per Aleksander e vennero riempiti entrambi di favoloso tè nero bollente, una dolce concessione che ella volle fargli per essere suo ospite. Si sporse appena dal suo trono per afferrare con estrema delicatezza il piccolo manico di porcellana bianca e portarlo a sè, alla propria bocca, tornando comoda come non mai. E poco prima di bagnare le labbra in quel liquido scuro e perfetto, rispose con estrema tranquillità -Considerateli esauditi.-
    Un lungo sorso, come se il calore di esso non la disturbasse affatto. Se lo gustò come un perfetto antipasto e lo rimise sul piattino poco dopo, annichilendo un pensiero -Anche se è strano...- iniziò col dire -... Non sembro piacervi affatto, eppure volete che io vi parli di me.- si leccò sottilmente le labbra, senza dargli modo di intravedere la sua stessa dentatura.
    -Inoltre, non so come interpretare il vostro "No, di figli di puttana ne ho visti tanti, ma con quegli occhi mai", sembra quasi che voi mi stiate insultando in qualche modo. Nel dubbio vedrò di ignorare questo genere di volgarità. Non le apprezzo e non le apprezzerò mai.- commentò educatamente prima di accavallare le gambe nell'altro senso. Non voleva scatenare un assurdo dibattito e sopratutto di litigare non aveva molta voglia. Si limitò a passare sopra a quella svista così volle chiamarla, perchè non v'era altro nome.
    -Ad ogni modo ho promesso di esaudire i vostri desideri e dunque non mi tirerò indietro.- Per quanto faccia male. fece un sospiro e prese un altra sorsata di tè prima d'iniziare -Dunque... Il mio nome lo conoscete già, sono nata il 2 Febbraio del 1003 d.C., in un periodo di invasione anglosassone, comunemente chiamato dagli storici come "Eptarchia". Terza di tre figli del Lord John Gray e sua moglie Elisabeth Dust.- neanche si rese conto neanche che quel prologo era lo stesso fatto a Mezzo Estragon, così continuò come se nulla fosse -I miei due fratelli in ordine di nascita sono Adam ed Erick, ma con quest'ultimo avevo un rapporto speciale, forse perchè passavo la maggior parte del mio tempo con lui mentre l'altro era in giro assieme a nostro padre per imparare ad essere in vero Lord. Anni di cui non mi lamento affatto, sono stati felici e spensierati, almeno fino a quando non ho compiuto il mio diciassettesimo compleanno.- fece una pausa, sorseggiò ancora il suo tè. Un breve attimo di silenzio, lasciò che la tensione continuasse a ferire la propria mente e quella di lui, mentre ancora una volta allontanò le labbra umide da quella tazzina -Ero stata promessa in sposa ad un Lord, un uomo di venti anni più grande di me. Un tipo odioso, di quei tipi che pensano soltanto alla caccia e a divertirsi con le donne. Coloro che non conoscono l'amore o le vere amicizie. Mio padre sperava che un'alleanza con lui ci avrebbe scongiurati da possibili problemi futuri, ma io sono stata egoista e non ho voluto pagarne il prezzo. Quella stessa sera sono scappata dal feudo, ho vagato per la foresta e ho attraversato un vasto territorio a piedi. Trovai rifugio infine ed ospitalità presso un altro feudo, un Lord di cui ignoravo addirittura l'esistenza. Sembrò intenerito e mi invitò alla sua tavola... stava dando un banchetto in quel momento. Hyram Stark, un uomo giovane, occhi di ghiaccio, capelli argentei... avvenente abbastanza da ammaliare chiunque.- l'ultimo sorso e la bevanda finì, lasciando la fondata sporca delle foglie. Posò tutto sul tavolo e tornò a fissare il proprio ospite con l'aria apparentemente stanca -Non avrei mai potuto immaginare che a quello stesso banchetto potessero raggiungermi degli schizzi enormi di sangue. In men che non si dica, Hyram aveva ucciso tutti, risparmiando me. Ero ancora lì, in mezzo ai cadaveri smembrati di quegli sconosciuti, incapace di credere a quello che avevo visto, quando egli mi chiese di fare un giro nel suo castello.- si alzò in piedi, stufa di stare seduta, iniziando a camminare verso la finestra della sua stanza. Il vestito rosso che aveva scelto d'indossare, lo stesso della sera in cui aveva incontrato Nicholas, svolazzò morbido.
    -I miei ricordi sono ancora vividi e freschi, come se fosse appena successo. Mi condusse a quell'enorme specchio intarsiato d'angeli dorati, ammirò e rimirò la mia pelle chiara, mentre io ero incapace di muovermi dal terrore... Fu un attimo... le sue zanne affondarono nella mia carne, sentii il crepitio del mio collo che veniva squarciato.- quano fu vicino abbastanza a quella finestra, ne spostò delicatamente le tende, posando gli occhi sulla luna là fuori e poi sulla città che incombeva sotto i suoi stessi piedi, ogni persona alla sua maledetta mercè. Che cosa patetica ed inutile.
    -Mi portò nella sua stanza, approfittando del fatto che io fossi completamente inerme per riempirmi la bocca del suo sangue, prima di violare per sempre questo mio corpo, renderlo impuro, macchiato per l'eternità.- la sua voce tremò per un attimo, poi riuscì a continuare -Sono morta in un inverno freddo quanto l'inverno a Mosca, ma nonostante tutto sono riuscita a scappare... mio fratello venne a portarmi via da lì, ma ad un caro prezzo... Erick, i suoi bellissimi occhi azzurri erano spariti e di essi non rimanevano altro che due vetri color sangue. Anche lui era diventato un vampiro. E sempre lui, per proteggermi, ha ucciso i nostri genitori, per permettermi di vivere... sempre se questa si può chiamare vita. Io però arrabbiata, non volli sentire le sue giustificazioni... così lui decise di andarse, credendo che lui fosse la causa delle mie sofferenze ed Adam lo seguì.- si voltò a quel punto verso Aleksander, squadrandolo, sforzandosi di guardarlo, di rimanere seria nonostante tutto -Sono mille anni che non li vedo, che vago su questa terra alla loro ricerca. Ho visto persone nascere e morire davanti ai miei occhi e per mia sfortuna ricordo ognuna di loro. Oggi sono qui, dopo aver conosciuto un drogato di caffè che ha rischiato la sua vita per me quando non ne avevo bisogno e dopo aver scoperto che quella casa d'aste non è altro che un modo per passare il mio stramaledetto tempo.-
    Si allontanò dalla finestra, camminò lentamente verso Aleksander, passo felpato e tranquillo dei piedi nudi sul freddo legno cerato. La luce dei suoi occhi si spense, come se sul fuoco fosse stata buttata una feroce secchiata d'acqua. Il color castano di essi riprese vita. Soppesò ogni suo pensiero e cercò di renderlo più reale possibile mentre si sedeva sul bracciolo della poltrona di lui, prendendosi le mani palmo a palmo, facendo incrociare le dita tra loro come una bella preghiera. Se le guardò a capo chino, riflettendo a voce alta -Eppure, ogni persona che ho trovato mi ha stranamente arricchito, mi ha trasmesso qualcosa di unico ed irripetibile...- rise piano, mentre di piccoli tralci crescevano lungo le sue stesse braccia, come una vellutata carezza -Non sono che una vampira generata da un'essere infinitamente più potente di me. Non posso morire in nessun modo... e questa è una tragedia.-
    Si voltò appena, allontanando le proprie mani l'una dall'altra, protendendo la sinistra verso il collo di Aleksander, accarezzandolo con il dorso dell'indice. Lo sguardo stanco, la voce pure -In cambio non voglio altro che un assaggio di voi.- uscì dalle sue labbra con un tono caldo e sensuale. Forse in qualche modo rassicurante.

    Edited by Xasar - 13/10/2011, 18:13
     
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    Aleksander Iacobus Kazati

    "Ora, cari bambini, fate attenzione
    sono la voce dal cuscino
    vi ho portato qualcosa
    una luce chiara nel firmamento
    Il mio cuore brucia

    Vengono da voi di notte
    e rubano le vostre piccole calde lacrime
    aspettano fino al risveglio della luna
    e le spingono nelle mie fredde vene"

    - Rammstein - Mein Herz Brennt.




    strangeshocopia

    E il suo cuore ebbe ben più di un tonfo, quando parlò di nuovo. Quando la teoria timidamente formulata dal ragazzo ebbe incominciato a prendere forma, diventando sempre più antica, oscura e crudele, tanto da far stringere il cuore davvero a quel sovietico d'acciaio, e l'astio sparì in un attimo, a sapere cosa aveva passato quella donna così giovane, ma al contempo così antica e disperata. Mille anni a cercare i propri fratelli, e a vedere un'intera vita così miserabilmente in frantumi. Se già di per sè non si prospettava rosea, l'esser promessa in sposa ad un arrogante nobile, la morte fisica, la violenza sessuale e la trasformazione in vampira avevano davvero sconvolto tutto ciò che di buono poteva esserci al mondo. Il sovietico, dall'interno del suo petto, urlò silenziosamente. Un urlo che non poteva essere udito da orecchio alcuno, se non quello del cuore, e che se si potesse diffondere nell'aria come un comune urlo, risulterebbe acutissimo, insostenibile e pieno di dolore. Per quanto Aleksander si considerasse estraneo dal dolore fisico, quello del cuore era sempre presente. Per quanto lo volesse esorcizzare, per quanto lo volesse minimizzare, semplicemente non ce la faceva mai. La storia della vampira l'aveva reso inerme, come un bambino che durante la notte non riusciva a trovare l'interruttore della luce, avendo paura del buio. Si poteva dire così: era semplicemente dilaniato dentro, e si sentiva così impotente di fronte a quella confessione così irreale, ma così vera. Si sentiva inutile in quell'istante, come avesse avuto colpa di non essere nemmeno nato, mille anni fa. Non ne aveva, certo, ma non poteva fare a meno di sentirsi quasi partecipe, co-protagonista della sua storia. Sapeva anche che non avrebbe dovuto. Qualcosa nel suo corpo scattò. Le iridi diventarono letteralmente splendenti, illuminando pochi millimetri davanti a loro, mentre su tutto il corpo del ragazzo si faceva strada un colore metallico, grigio-nerastro, si spingeva sempre più su, si espandeva fino a voler coprire tutto il corpo, e si capiva chiaramente cosa c'era dietro quegli occhi così: rabbia. Tanta rabbia. Così tanta che avrebbe potuto riempirci il mondo, una quantità insostenibile per uno della sua età, oltre ogni immaginazione. Probabilmente nemmeno Sarah Gray ne aveva provata una maggiore, e lei aveva mille anni, mentre lui nemmeno diciotto. Sulla sua bocca si fece strada un ringhio, sempre più flebile, sempre più sottile, fino a diventare un vero e proprio sibilo, come se fosse un serpente, e poi... Silenzio. La chiazza metallica che aveva coperto metà del suo corpo si ritirò, tornando da dove era venuta, e Iacobus non si era accorto di nulla. Non sapeva di quella chiazza, non sapeva di quegli occhi, proprio no. Ma dei ricordi gli tornavano prepotenti alla mente, i ricordi di quando aveva mangiato le sue prime persone, e tutti gli apparivano strani, incompleti. C'era qualcosa che mancava, qualcosa che l'avrebbe fatto sembrare persino peggio di quella vampira superba ed egoista che adorava disporre della vita delle altre persone come se fossero dei giocattoli rotti. - ... No. - Un sussurro quasi impercettibile, gli occhi velati solo dal dolore, che avevano perso la loro luminosità, fino a diventare dei pozzi senza nemmeno iridi per un attimo, uno solo, per ritornare quel grigio-castano che l'aveva sempre caratterizzato, e il volto contorto in una smorfia contesa tra la pietà per lei, che non poteva morire, e il disgusto verso chi aveva reso la sua vita un inferno. Non si sentì in grado di demonizzarla, in quel momento, non si sentì di condannarla per tutti i crimini che poteva avere commesso, non si sentì di etichettarla come un mostro. Il russo pensò solamente che... Che era stato un orrendo casino di merda. - Tu non vuoi essere una vampira, vero? - Chiese, quando ormai lei le fu pericolosamente vicino. - Tu vorresti ancora essere mortale, vivere la tua vita al meglio delle tue possibilità, sapendo che un giorno potresti trovare una persona che possa davvero amarti, e che... - Le toccò la pelle un attimo, sentendo quanto fosse tremendamente ghiacciata. - ... Che saprebbe riscaldarti per davvero? Non è che tu hai... Bisogno di una mano? - Una mano? Lei? E per cosa? In verità era semplice: per andare avanti. Perchè in quegli occhi così fieri c'era la stessa tristezza e malinconia di Aleksander, c'erano gli stessi pensieri: "Se tutto questo non fosse successo, probabilmente non sarei a questo punto." C'era la stessa determinazione ad andare avanti, una così forte solo perchè era una pallida speranza, l'ultima cosa che rimaneva a qualunque essere senziente. Nel caso di Sarah erano i suoi fratelli, probabilmente, per il sovietico invece c'era solo la voglia di proteggere qualcuno, di salvare quello che lui non aveva potuto salvare a sè stesso: la vita. Non nel senso fisico, ma quei minimi particolari della vita di ogni giorno; quando ti svegli, quando mangi, quando esci con gli amici, o quando ti fai i fatti tuoi allegramente, quelle piccole, grandi cose che ti rendevano la vita completa. E il fatto di essere così pallida, fredda e non-morta, il fatto di non poter morire, Sarah Gray - Aleksander lo poteva immaginare bene - ne era distrutta, in tutta probabilità. Perchè se uno non poteva morire, non poteva apprezzare niente. C'era sempre una seconda possibilità per tutto, ma chi doveva morire no. Ne aveva una, prendere o lasciare. Aleksander era così simile e al contempo così diverso da lei. Forse era per questo che la capiva? - Dopo tutto questo tempo, tu non la smetti di cercarli? Sapendo che possono essere morti, che potrebbero non riconoscerti, o peggio, non volerti più vedere? ... Mi ricordi me. - Commentò, mentre la sua intera vita gli passava davanti. - ... Un assaggio di me. Sì, è ragionevole. Ma per favore, non voglio diventare come te. Mi fa piacere sapere di poter morire, un giorno, così posso godermi meglio ciò che mi aspetta, e lottare con le unghie e con i denti per salvarmi. Son tutto tuo. - Espose il collo, pronto a ricevere un poderoso morso. E se lei l'avesse morso, se avesse succhiato il suo sangue, probabilmente avrebbe fatto una scoperta che persino Aleksander ignorava.






     
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  6. Xasar
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    Sarah

    Rivisse ogni istante, ogni momenti di quei terribili attimi della sua vita. Il sangue, le urla, lo stridio della carne che veniva dilaniata ed il dolore dentro di lei. La consapevolezza che il suo animo era infranto, perduto per sempre, nessuno gli avrebbe potuto ridare quello che lei aveva perso. Nè la sua verginità, nè la sua vita mortale.
    Così, mentre sfiorava il collo del ragazzo, vide in lui quel cambiamento, quella lucentezza strana e particolare peer un istante. Gli occhi ferini che s'illuminarono di una strana rabbia, percepì attraverso le pulsazioni del suo sangue l'ira, il dolore. Qualcosa... era come metallo ma fu un attimo. Tornò normale, come se non fosse successo assolutamente nulla e non parve essersi accorto di quali cambiamenti si erano presi possesso del suo corpo. Era abbastanza esperta per capire che un semplice essere umano non subifa alcuna trasformazione così radicale in così poco tempo. Non andava, non così.
    Rimase però catturata dalle sue parole, da quel proferire per nulla impaurito, nè scoraggiato. Una domanda che valeva una vita, che avrebbe potuto rompere per sempre le barriere che ella stessa aveva eretto davanti a sè, ma era presto, era azzardato, ma la toccò quel tanto che bastava per percepire la differenza di temperatura che intercorreva tra i due. Le gelida, lui caldo. Sarebbe sempre stato così fino a che a toccarla era un semplice essere umano, ma lui non lo era, probabilmente no. chissà se ne era consapevole.
    -Sì, vorrei essere umana. Debole e mortale. Vorrei poter respirare e sentire il calore sulla mia pelle... invecchiare, avere dei figli- Io, ho pure dimenticato cosa sia l'amore... rispose semplicemente, concedendosi quell'ultimo pensiero al proprio cuore, la consapevolezza di non saper provare più quel sentimento a lungo dimenticato. Provava attrazione, sì, ma nulla più. Nessun tipo di gelosia, nessun tipo di possessione.
    Nonostante tutto -No, non ho bisogno di una mano... solo qualcuno ogni tanto che mi distragga.- sorrise nel proferir quelle parole. Lo guardò con tutta la semplicità possibile, abbandonando i ricordi ancora, forzandoli ad uscire dalla propria testa, scalciandoli poderosamente e mettendo un furioso divieto almeno per quella sera. Aveva letto in quell'opuscolo quanto potesse essere stata difficile la vita di Aleksander e probabilmente lui l'aveva odiata anche per questo. Non si sarebbe mai aspettata di vederlo così aperto, disponibile verso di lei, un cambio d'atteggiamento che non avrebbe mai attribuito ad un irato come sembrava in quel momento. Che dentro di sè nascondesse un lato più dolce, sensibile di quello che aveva visto fino a poco prima? Probabile, niente era da escludere, così come egli sembrava dannatamente simile a lei. Fiero, determinato, orgoglioso. Sì, poteva stramaledettamente capirlo, neanche lei si sarebbe piegata volentieri a qualcuno che si inneggiava più potente di lei, per quanto la sua autorità fosse impareggiabile.
    Lui si identificava in lei e non poteva non essere viceversa.
    -Non voglio smettee di cercarli perchè probabilmente darmi per vinta vorrebbe dire smettere di vivere quel poco che ancora cerco di fare... loro sono il mio scopo. E li riconoscerei ovunque, perchè sono i miei fratelli. Continuerò a cercare anche se dovessi metterci tutta l'eternità, non ho comunque niente da perdere...- avvicinò il suo volto a lui, lentamente, frammento d'aria per frammento, fino a che non percepì il suo calore così vicino da pensare di essersi immersa in lui. Si spostò a cavallo sulle sue gambe, sporgendosi verso il suo collo. Dischiuse le labbra, risalì la linea della carotide per sibilare al suo orecchio, un sussurro ultraterreno volto a rassicurarlo, mettere in chiaro che era tutto a posto, che niente sarebbe andato storto -State tranquillo... non ho intenzione di regalare la mia stessa sorte a qualcuno. Sarebbe crudele, persino per me... mal che vada, la sensazione che proverete sarà paragonabile ad un orgasmo...- e fu così che dolcemente scese nuovamente sul suo collo, morbida, le sue labbra leggere come petali freschissimi lasciarono che i suoi canini brillassero al buio, prima di affondare nella tenera carne.
    Sangue. Sangue dal sapore inusuale, la consistenza diversa, eppure gustoso come ogni altro, forse di più. Un getto improvviso le riempì la bocca e succhiò avidamente il suo nettare. Giusto un po', paragonabile ad un bicchiere di ottimo vino francese. Se ne staccò dolcemente, leccando la sua ferita con la punta della lingua e con un breve gesto ne risanò istantaneamente la carne.
    Rimase tuttavia a fissare quel punto, come un vuoto immaginario, ancora seduta sulle gambe di lui. Realizzò il suo timore, quello che aveva pensato sin da quando aveva visto il suo corpo pieno di ferite e cambiare così velocemente in poco tempo. Intanto la sua bocca, ancora sporca di sangue, rimase dischiusa, come ipnotizzata da qualcosa di ancora più succoso del cibo.
    -Voi non siete umano...- sussurrò come se avesse paura che qualcuno oltre a loro potesse sentirli. Che cos'era realmente? Non aveva mai assaggiato niente del genere. Di sicuro non era un Were o neanche uno shapeshifter. Nessuno di questi era in grado di trasformarsi in qualcosa di così inumano. Forse... -Voi siete forse...- il dubbio ancora, ma non il terrore. Vera curiosità di sapere, la volontà di capire. Vera, Sarah in quel momento era vera.
     
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    Aleksander Iacobus Kazati

    "What happened to me?"

    - Aleksander Iacobus Kazati.




    strangeshocopia

    Ebbe le risposte che cercava. Avrebbe voluto approfondirle di più, conoscere meglio quella donna, quella vampira così simile a lei, ma il tempo. Oh, il tempo lei lo conosceva benissimo, aveva visto tutta un'eternità scorrere affianco a lei, aveva visto civiltà sorgere e cadere, idee bruciare come fiamme, e infine spegnersi. Gente che si ammazzava per qualsiasi pretesto, e lei probabilmente sapeva che il tempo era stretto. Si prese comunque la briga di tranquillizzarlo, quella era la sua giornata sì, allora. E anche quella di Aleksander, che non solo si era visto esaudire due desideri su tre, ma non sarebbe diventato un vampiro. E anche se avesse voluto, non avrebbe potuto, ed è semplice spiegare perchè. Basta cercare dovunque il termine "parassitismo", e si capirà tutto all'istante. Due parassiti non possono coesistere. Proprio no, e quello dentro il sovietico non faceva alcuna eccezione. Aveva il suo Ospite, non lo avrebbe lasciato per nulla al mondo. Se fosse morto, si fosse adoperato per non renderlo più tale, e ogni volta che si sarebbe ferito, lo avrebbe guarito. E fu proprio così che agì il parassita. Non appena i denti penetrarono violentemente la carne, il virus non riconosceva quell'entità ossea; non la voleva, quello era il suo territorio, ma c'era qualcosa che non andava. Il suo Ospite, il suo protetto, il suo amato non voleva che qualcuno la fermasse, e allora rimase buono. Con la rabbia dentro le sue cellule, perchè migliaia di suoi minuscoli fratelli se ne stavano andando, nonostante esso stesso sapesse che si sarebbero riformati all'istante. Non appena i denti si tolsero dalla carne, subito la chiazza metallica chiuse la ferita, e una minuscola cicatrice rimase lì, come unica testimone di ciò che era stato fatto all'umano. ... Umano? No. E le parole, le parole confusero parecchio il ragazzone, che sentì in quel momento qualcosa agitarsi in lui, premere contro il suo petto, come per uscire. In quell'istante, ebbe paura, e proprio in quel momento qualcosa lo colpì: c'era qualcosa dentro, qualcosa che in quel preciso momento era terribilmente dispiaciuto per il dolore appena causato. - ... Io... - Voce flebile, a malapena udibile. - ... Io non... - Frammenti di vita che si facevano strada, frammenti che quel qualcosa che aveva dentro aveva voluto tenergli lontano dai ricordi, per il suo bene. Esso sapeva che far sapere ad Aleksander quello che aveva fatto per mano sua lo avrebbe reso ancora più folle, lui lo sapeva, e non voleva che il suo Ospite stesse male. Esso amava il suo Ospite, e voleva che egli facesse lo stesso, platonicamente. Ma lui non capiva, e allora doveva fargli capire. Una voce, un istinto che gli diceva una sola cosa: afferra quella cosa. - ... Cosa? Che vuoi dire? - E nemmeno lui sapeva dire se stesse chiedendo ciò alla vampira o a ciò che c'era dentro di lui. - Che cosa stai facendo? - Voce più acuta, orbite spalancate e gialle, come prima, luminose come una torcia, quasi, mentre la chiazza metallica si espandeva a vista d'occhio su di lui, e un calore immenso misto ad un freddo altrettanto immenso lo pervadevano, facendolo ansimare, occhi spalancati e pieni di stupore, con tutti i muscoli e i nervi tesi, come se l'avessero appena colpito con forza immane. - ... A-aah... Aah... Aaah... - Ansimare, e ansimare, e ancora ansimare, quando finalmente ciò che si presentò di fronte agli occhi di Sarah Gray era un essere del genere. Come una sorta di insetto, si poteva paragonare a qualcosa del genere. E dopo qualche secondo, le orbite ritornarono a farsi vedere, luccicanti come non mai, e Aleksander si guardò allo specchio, e nella sua voce si scorgeva quasi disperazione. - No, io... No, non... Io non... Non... Non ci credo... - Ma aveva visto persino una vampira, ormai. Perchè non crederci? Perchè no? L'idea di essere un completo mostro lo spaventava? - No, no, io... Come farò a dirglielo? - No, non era quello il punto. A lui spaventava il non poterlo dire ai suoi cari. Ecco cosa. - ... Mio... Dio... Non è possibile che... Che sia questo... - Oh, e invece era sempre stato così. - Tutte quelle volte in cui ho mangiato una persona... Serviva per questo? - In fondo a lui, qualcosa si agitò felicemente. Era un sì? - ... E mi sta bene. - Un controllo di sè impeccabile. In quei secondi, aveva bellamente ignorato Sarah, troppo concentrato com'era a cercare di capire. Probabilmente una persona normale si sarebbe disperata, ma lui sapeva una cosa: invece che disperarsi, era meglio capire la radice del "problema", o al massimo conviverci. E lui stranamente aveva sempre desiderato di essere qualcosa di più di un essere umano, si era sempre messo alla prova per quello, per dimostrare di valere di più. E quella "cosa" era la sua opportunità, e voleva sfruttarla. Quello strano metallo si ritirò, sfaldandosi in forma liquida, e venendo risucchiato dalla pelle. Il ragazzo si guardò le mani, incapace ancora di crederci. - ... Che cazzo è stato? - Silenzio, il suo sguardo ferino si posò ancora sulla donna. - I-io giuro che non ne sapevo niente! - Ed era vero. - Voglio dire, sono sempre stato cannibale e con un metabolismo veloce, ma non avrei mai creduto che... Che... Pisa merda... - Non ci poteva credere. O meglio, se aveva di fronte una vampira e ci credeva, era solo una questione di abitudine. Quindi sì, poteva, ma non in quell'istante. Ma aveva bisogno di capire.






     
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  8. Xasar
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    Sarah11
    Sarah

    Cosa aveva scatenato quella reazione? Rabbia? Frustrazione? Oppure divertimento? Cosa... ?
    Avrebbe dovuto immaginare tutto quello che egli era anche solo dall'odore che aveva emanato. Che le era successo? Si era forse rammollita? No... era stato lui stesso a mascherare quell'odore. Lo aveva sentito solo nel momento stesso in cui aveva assaggiato il suo sangue.
    Lo guardò a lungo, scansandosi da sopra di lui, mietendo con i propri occhi la figura che si trasformava velocemente, il ragazzo incredulo di ciò che stava accadendo. Incredulo, la voce sottile, come spaventato. Sarah per la prima volta si sentì stranamente impotente. Lo fissava senza fare nulla, gli occhi come ipnotizzati. Se avesse potuto avere la pelle d'oca sicuramente adesso ne sarebbe ricoperta. Coperta come si stava coprendo quella di Aleksander, completamente di metallo. L'aspetto eseriore era un composto stranissimo, argenteo e lucido. Rimase come impressionata dalle sue parole e dalla sua stessa volontà. Non si era preoccupato minimamente di sè stesso quanto a qualcuno a cui avrebbe dovuto spiegare quanto era diventato. Come può...
    La vampira rimase in silenzio, si ritirò in un angolo buio della stanza, socchiuse gli occhi e stette a guardare ciò che aveva appena preso forma dentro la sua abitazione. Quanto un cannibale potesse essere giustificato davanti al fatto di avere qualcosa al suo interno, di essere caratterizzato da una forza tremenda ed una rigenerazione pressochè istantanea.
    Non era normale neanche psicologicamente. Come poteva non impazzier davanti a tutto questo? Da una parte poteva capire cosa provava. Lei stessa non era diventata matta dopo aver realizzato cosa le era successo, senza contare che inizialmente non poteva uscire alla luce del sole. Bisognava semplicemente essere persone forti, capaci di guardare avanti e non pensare alle brutte cose, vedere del buono in tutto, dei vantaggi, senza mai limitarsi ad assistere senza fare niente. Era necessario prendere attivamente parte alla propria vita per costruirla, anche se quello che aveva scoperto Aleksander, a distanza di quasi 18 anni dall'avvento, era veramente eccezionale. Giurò e spergiurò di non saperne niente e lei, nel suo vuoto buio in cui si era rintanata, come poteva non credergli? La reazione era stata quella che era, non voleva pensare che fosse un ottimo attore tanto quanto l'era lei.
    Decise di spostarsi dal muro, di allontanarsi dall'ombra. Vi era rimasta così a lungo nella sua esistenza che era ormai diventato futile continuare a rifugiarvisi. Percorse quei pochi passi che l'allontanavano da lui, senza che ci fosse necessità di cercare il coraggio di cui aveva bisogno. Non ne aveva, così come non aveva paura di quello che sarebbe potuto succedere. Non era più viva, perchè avrebbe dovuto provarne? Ne era sicura, oggi più di ieri: Mezzo probabilmente non sapeva quello che aveva detto quella sera. Forse lei non era così viva come sosteneva, dopotutto, e Nicholas gliel'aveva pure ribadito. Biologia, nulla più. Se poi ci si aggiungeva che le poche emozioni che riusciva a provare erano rabbia e dolore, interrotti da qualche piccolo momento di gioia, le cose si sommavano. Probabilmente tra qualche altro centinaio di anni lei non avrebbe provato più neanche quelle. Molti vampiri scelgono di spegnere le proprie emozioni, per evitare di essere più umani possibili, per non sentire dolore. Ma lei non aveva mai voluto, ha semplicemente lasciato che ognuna di loro si fulminasse come una lampadina surriscaldata. Per quanto avesse voluto essere l'umana di un tempo, nulla avrebbe potuto riportarla indietro.
    Gli fu vicino, sfiorò appena la sua guancia con il palmo della mano, desiderosa di sentire ancora una volta il calore che emanava, quello che lei aveva perso. Lo avrebbe volentieri odiato per questo, ma avrebbe anche dovuto odiare ogni altro essere vivente e con tutta la necessità di questo mondo preferiva non farlo -Aleksander- e probabilmente non sarebbe stato necessario -glielo direte quando sarà il momento. Credo capirà.- un riferimento chiaro alla persona che lui aveva voluto proteggere. Se l'era praticamente immaginato che lui parlasse di lei, quando si era fatto quei problemi in precedenza. Sfortuna per lui Sarah era fin troppo abituata ad eventi paranormali per stupirsi più di quel poco.
    Ed il loro tempo, lì in quel posto, stava per finire. Se avesse potuto leggergli nella testa, gli avrebbe risposto che il tempo era più stretto di quel che si immaginava la gente. Un'ora umana per un vampiro era poco più di un secondo, un giorno neanche mezzo minuto. Era tutto così veloce che poteva godersi solo pochi attimi, proprio come quelli.
    -Credo proprio che non morirete facilmente, Aleksander.- concluse con un sorriso, abbassando la gelida mano ed al contempo sporgendosi verso di lui, alzandosi sulle delicate punte dei piedi nudi e baciandolo morbida sulla bollente pelle della guancia. Il suo augurio, forse il migliore che poteva fargli. Forse l'unico.
     
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    Aleksander Iacobus Kazati

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    FROM MY CREATOR,
    YOU GAVE ME LIFE,
    NOW SHOW ME HOW TO LIVE!"

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    strangeshocopia

    No, non era normale, la vampira aveva ragione. Un uomo normale non avrebbe potuto sopportare la verità, non sarebbe riuscito nè a gestirla nè a digerirla, e in tutta probabilità sarebbe impazzito. Ma anche se fosse stato un comune umano, chi ha mai detto che Aleksander era "normale"? Lui di normale non aveva niente, proprio niente. La sua psicologia non aveva nulla da spartire con quella della massa, abituato a pensare come un braccato, un reietto e, dulcis in fundo, un assassino. Pensava in relativo, decideva della vita e della morte delle persone in base al guadagno personale, ma era ancora capace di provare pietà, compassione e amore, e le prime due le aveva esplicitamente mostrate a Sarah Gray, la cui storia era stata come un colpo nei maroni alla Bio-Organic Weapon vagante, che si era sentito quantomai impotente di fronte a così tanta sofferenza. Non era riuscito a resistere, e a quanto pareva la stessa millenaria aveva risposto con stupore alla sua trasformazione, sebbene non si fosse quasi mossa all'inizio. Era spaventata? Forse, era sicuramente la prima volta che vedeva una trasformazione così violenta. Ora si spiegava tutto; come avesse fatto a sopravvivere con così tante ferite. Però c'era qualcosa che non andava. - La fame non è opera sua. - Asserì, convinto. - Quella l'ho sempre avuta, a quanto pare, quindi sembra che io sia cannibale di mio. Non che mi dispiaccia, certo, ma... E' strano. - Strano cosa? - Dico, avere un essere così piccolo dentro al proprio corpo, e saperlo capace di fare qualcosa del genere. Ma la domanda è: chi me l'ha messo dentro? C'è sempre stato, o mi è stato impiantato? - Rimase lì a riflettere, incurante di tutto, provando a pensare alle possibili soluzioni, ma non riuscendo a capire nulla. Come poteva un parassita come quello svilupparsi autononamente? E come poteva averlo contratto senza risultarne quantomeno affetto, come una sorta di malattia? C'era qualcosa di strano in tutta la situazione, ma il tempo correva, e non c'era possibilità di risolvere tutte le sue perplessità, di chiarire ogni dubbio, perciò le accantonò immediatamente, preferendo ascoltare ciò che la vampira aveva da dire. A suo parere, gliel'avrebbe detto al momento giusto, e sempre a suo parere, lei avrebbe capito. Ma sarebbe davvero stato così semplice? - Non lo so. Io lo spero, ma lei non è me, lei non è così folle come me, anzi: è quel classico tipo di ragazza come potevi esserlo stato tu, molto tempo fa. Quel tipo di ragazza che vuole vivere la propria vita, che vuole essere semplice, senza essere vincolata da obblighi di famiglia. Credo che se vi incontraste, se tu guardassi nei suoi occhi color della Kalinka, ci troveresti tutto ciò che eri, e che hai sempre voluto essere. Sotto questo punto di vista, io sono più simile a te rispetto a lei, entrambi abbiamo visto la nostra vita infrangersi davanti a noi. Tu hai visto la tua famiglia venderti per salvare la faccia, io l'ho vista morire davanti ai miei occhi, lasciandomi con una sorella da accudire e un cugino che credevo morto. Tu hai sempre vissuto cercando di trovare i tuoi fratelli rimasti, io ho semplicemente pensato a sopravvivere. Giorno per giorno, lottando contro la stessa società che dovrebbe sostenerci, invece che condannarci, etichettarci come feccia e discriminarci per ciò che siamo. Tu hai ucciso, io so che tu hai ucciso, posso vederlo, posso capirlo. Sarebbe inutile negare che entrambi siamo solo mostri, che vogliamo solo fingere di essere ancora umani, tutto questo solo perchè voleva dire essere capaci di amare. Essere capaci di sentirsi parte di una grande famiglia, che si identificava come una specie unica. Invece eccoci qui. Vampiri, parassiti, reietti... A modo nostro, siamo anche noi una famiglia, ma non siamo così uniti. E loro ci temono, no? Da umani, nessuno ci avrebbe temuto. Ora, se tutto il mondo sapesse chi e cosa siamo, tutti ci vorrebbero morti. E' triste, vero? Come tutto ciò che non rientra negli standard umani venga considerato come impuro, e che venga dunque condannado a sparire per sempre. Vorrei poterti dire quanto ho dovuto lottare, da solo, per sfuggire alla morte in innumerevoli occasioni, vorrei farti rendere conto di ciò che ho vissuto, ma sarebbe inutile: tu lo sai già, l'hai visto ripetersi così tante volte che sarebbe come spiegare l'italiano a un italiano, sono cose che conosce già. Magari con dei dettagli in più, qualcosa che gli era sfuggito, ma non cambia nulla. E' tutta roba nel suo sacco. Eppure io sento che ci rivedremo. - Affermò quest'ultima frase con sicurezza, percepibile in quei suoi occhi ora castani, come se fosse già stato scritto. - Il mondo è grande e piccolo, e possiamo viaggiare per l'eternità ma sentirci ancora a casa, e chissà, forse un giorno, quando sarò ormai vecchio e grigio, ti vedrò passare davanti a me con la stessa nonchalance con la quale mi hai affittato per un po', e magari penserò che... Che forse sarai cambiata. Che magari in quel viso così giovane ma antico non ci sarà più un sorriso sprezzante, ma uno felice. Forse avrai trovato te stessa, o forse avrai trovato semplicemente qualcun altro. Io continuo a sperare per te, non è giusto che si debba finire soli. Morire soli è orrendo, ma vivere per l'eternità senza una persona accanto è ancora più terribile. - Vi fu silenzio, mentre Aleksander si tastava la guancia appena bagnata dalle labbra della vampira, sorridendo appena. - No, non fare gli auguri a me, falli a te stessa. Ne hai più bisogno di me. Io non ho intenzione di morire, e per mia fortuna so cavarmela egregiamente là fuori, da solo. Avrò dei compagni armati, e le mie chances di sopravvivenza aumenteranno esponenzialmente. Mi dispiace solo di dover far salire la Killcount, sono alquanto stufo di togliere la vita a qualcuno. Ma guarda un po', mi è anche venuto in mente il terzo desiderio. - Sorrise, assumendo un'aria cospiratrice, e fissò ancora negli occhi la vampira. Non più con astio, non più con irritazione, ma con qualcosa di diverso, tremendamente diverso. - Se c'è qualcosa che ho imparato, è che arrendersi non serve mai, e che se l'obiettivo da raggiungere sembra impossibile, la verità è che siamo noi che lo crediamo tale. Sono i nostri limiti a limitarci, siamo noi gli uccelli che si sono rinchiusi volontariamente nella gabbia e hanno gettato la chiave, e chissà: forse un giorno la troveranno, apriranno la gabbia, e voleranno liberi. Per sempre. Quindi il mio terzo ed ultimo desiderio è... - Fece una pausa, preferendo lasciare un attimo di suspence. - ... Sii felice. - Come, solo questo? Sii felice? - Credo che sia nei tuoi interessi e nelle tue possibilità esserlo, perciò... Approfittane. Lo dico da essere che un giorno si vedrà invecchiare talmente tanto da non riconoscersi più, ti dico che dovrai sempre vivere come se fosse l'ultimo della tua vita. L'eternità senza allegria non è niente, è un guscio vuoto, e non insegna nulla, se non la solitudine. Il tempo che ti è stato dato durerà un'eternità, ma quell'eternità va spesa bene. E ti sfido a dirmi che ho torto, a trovare una prova che io stia sbagliando, e dubito che la troverai. Fino a che non la troverai... - Si sarebbe chinato egli stesso, stavolta, afferrando delicatamente la testa della vampira, e stampandole un casto ma bollente bacio sulla fronte, allontanandosi dunque subito dopo. - ... Sii forte, e non cedere mai. Possa la tua eternità portare ben più della semplice, triste miseria.






     
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  10. Xasar
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    Sarah11
    Sarah

    Rimase lì ad ascoltarlo, a sentir parlare di quella ragazza che sembrava amare così tanto. Si sentì paragonare a lei, simile a quello che era una volta? Improbabile, decisamente improbabile che lei fosse simile ad una ragazza di quest'epoca. Eppure lo stette ad ascoltare come soltanto lei sapeva fare. Il silenzio della sua mente, accondiscendente alle sue parole, accolse ogni suono a porte aperte. Dubbi, perplessità, lei non aveva il potere di dissipare alcunchè, nè dolore, nè gioia, nè di spiegare cose che avrebbe potuto tranquillamente spiegare. Era semplicemente il caso che tutto rimanesse così com'era, che il destino da bravo egoista continuasse a fare il suo corso.
    Era sbagliato, maledettamente sbagliato e ragionare razionalmente le risultò più difficile di quanto aveva imparato a fare durante i secoli. Forse perchè in ogni parola del ragazzo non vedeva tutto per come glielo descriveva, ma un mondo tutto suo, dove ella stessa aveva dovuto combattere duramente per essere quella che adesso poteva vantare. I suoi genitori erano morti davanti ai suoi occhi, uccisi dal suo stesso fratello, quello che amava più di ogni altro. Ma mentre lui era rimasto con una sorella, a lei non erano rimasti che pochi servi, un feudo gelido e desolato che abbandonò poco dopo per spostarsi, cercarli ancora e pregare che fossero vivi. Una bellissima illusione credere che quel Dio che sarebbe dovuto esistere ascoltasse le suppliche di una rinnegata, una creatura cacciata sia dal paradiso che dall'inferno, un essere senz'anima.
    Entrambi erano mostri dunque, e cercavano invano di fingere di essere umani. Una famiglia... forse ella ne aveva dimenticato il reale significato e anche in quel momento volle fare orecchi da mercante, fingere di non sentire. Tutti l'avrebbero volentieri uccisa se avessero potuto, ma lui invece avrebbe la pelle salva. In molti desidererebbero impiegarlo in usi militari e forse, in un barlume d'incertezza, poteva essere stata proprio quella la sua origine. Perchè sì, aveva ragione, lei l'aveva visto ripetersi all'infinito, ogni cosa, ogni litigio tra gli uomini ed aveva finito per capire la ragione di ogni singola guerra per quanto stupida fosse. Aveva visto morire e nascere, conoscenti sparire, forse le uniche persone in grado di riaccendere in lei la fiamma di quel sentimento svanito, erano perite senza che neanche se ne accorgesse, lasciando quel vuoto in lei che man mano si faceva sempre più incolmabile. Amare era solo una parola, era diventato un gioco. Cos'era l'amore? invidiava Aleksander perchè sapeva cosa fosse, come ci si sentisse ad avere qualcuno da proteggere ad ogni costo. Ma lei? Sarah non aveva nessuno, solo tante persone che avrebbero voluto comprenderla, capirla, ma alle quali non si sentiva affatto di dover aprire la propria porta. Solo quel piccolo spiraglio di sè, lo stesso di cui si era nutrito Mezzo, ora l'aveva donato anche a quel ragazzo, un russo dal cuore decisamente tenero nonostante la superficiale corazza.
    Ma è pur sempre una corazza...
    Lo guardò senza accennare neanche un sorriso quando egli le disse che probabilmente si sarebbero rivisti. Sì, lei lo sapeva benissimo che sarebbe successo. In un modo o nell'altro lei si sarebbe fatta viva di nuovo e gli avrebbe ceduto l'ultimo addio durante la sua vecchiaia, un po' come aveva fatto con Leonardo Da Vinci. Ma sentire che lei aveva più bisogno di auguri di lui, quella cosa sì che le strappò un sorriso dalle labbra. Era futile e stupido augurare qualcosa ad un cadavere, per quanto ci fosse un buon intento, ma anche in quel breve frangente non rispose, si limitò a continuare nell'ascolto, perseverante e paziente.
    Il terzo desiderio, lo attese e lo bramò, ma nel momento stesso in cui quelle parole la raggiunsero i suoi occhi si aprirono come se fossero tornati a potersi stupire davvero. Desiderò che ella fosse felice, un augurio che si sarebbe normalmente fatto ad una ragazza che stava per sposarsi, ma lei? In interi secoli passati a rincorrere la felicità non era mai riuscita raggiungerla veramente. L'aveva sempre vista da lontano, ingelosita quasi da tutte quelle persone che potevano invece permettersela a buon mercato. La sua chiave era ritrovare quell'infanzia perduta, ritrovare i fratelli e ricevere il perdono che non le fu mai veramente dato. Come Pascoli ritrovare il nido, il nucleo familiare in cui rituffarsi, solo allora avrebbe potuto sperare di assaggiare la gioia ed ogni sentimento magari riservato agli esseri umani.
    "...Sii felice."
    Un desiderio irrealizzabile, per quanto puro, nobile e dolce fosse l'intento. Eppure... perchè privarlo di una così calda illusione? Nel contempo egli si era chinato e preso delicatamente tra le mani la sua testa, donandole un bacio sulla fronte, un dejavu passato e nel guardarlo rivide Erick per un istante. Stessi modi, stesso strano modo di agire e perseverare nelle proprie speranze.
    Ridacchiò, accompagnando le sue ultime parole. Infine alzò lo sguardo su di lui, forse una delle poche volte in cui avrebbe sorriso sinceramente senza provare nulla. Due occhi luminosi, languidi. Lei era una dei pochi vampiri a cui era concesso di piangere, ma non sarebbe stato quello il momento.
    -Concesso.- mentì abilmente in tutta l'esperienza che poteva vantare da ottima attrice. Un solo tocco sul suo collo e la cicatrice da lei provocatagli sparì in una nube rossastra -Una cicatrice in meno non guasta di certo. Confido di potervi rivedere come voi auspicate. Infondo... è stata una bella serata.- ammise infine, allontanandosi da lui e lasciando che la porta della suite si aprisse rivelando la luce ocra del corridoio del quarto piano.
    Alle spalle di Sarah si stagliava la luce della luna, soffocata da alcune nubi. Baciava la sua pelle chiara, la conduceva a passo lento e ritroso verso quella poltrona sulla quale si era seduta poco prima. Notò solo allora che egli non aveva neanche toccato il suo tè, rimanendone appena delusa, ma non s'azzardò a dire nulla. Continuò a sorridergli come avev fatto con ogni altro ospite prima di lui e si accomodò con neutralità. I germogli sul tavolo le versarono un altra tazza di tè e si accinse a prenderla con delicatezza.
    Poco prima di bagnare le sue labbra con lo scuro liquido ambratosussurrò flebile nell'oscurita, fendendola di nuovo con il porpora dei suoi occhi -Ossequi, Aleksander. Spero vivamente di potervi reincontrare come da voi predetto.-
    Avrebbe aspettato che lui si fosse allontanato, che avesse lasciato per sempre quella stanza prima di concedersi totalmente a sè stessa.
    No... i vampiri non piangono... ma nel silenzio e nel buio di quella stanza, sul suo viso totalmente impassibile, scese una singola lacrima e si mescolò al suo tè.
    Si perse così anche lei, come una lacrima nell'oceano.

     
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    Bad boys, bad boys! Whatcha gonna do? Whatcha gonna do, when they come for you?


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    Aleksander Iacobus Kazati

    "I can tell you why
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    I can show you how
    You could do the same
    I can tell you why
    The end will never come
    I can tell you I'm
    A shadow on the sun

    Shapes of every size
    Move behind my eyes
    Doors inside my head
    Bolted from within
    Every drop of flame
    Lights a candle in
    Memory of the one
    Who lives inside my skin"

    - Audioslave - Shadow on the Sun.




    strangeshocopia

    Dunque era la fine. Il tempo concesso ai due esseri era prossimo al termine, ma non era finita qui: c'erano ancora tante cose da fare, così tante cose da dirsi, ma non era quello nè tempo nè luogo. Avrebbero avuto altre possibilità i due, questo era certo, ma il quando era ancora un mistero. Era quasi un peccato separarsi, entrambi avevano imparato dal proprio interlocutore: Aleksander aveva scoperto di essere ben più di un umano, e Sarah... Qualcos'altro. Era curioso come due persone come loro si fossero incontrate quasi per caso, ma si fossero colpite a vicenda l'anima; era quasi impossibile, quel tipo di situazione che potrebbe accadere solo nella finzione, eppure era reale, entrambi erano qualcosa di tangibile, si erano toccati essi stessi, e come negarlo? L'unica prova era la cicatrice dei denti lasciati dalla vampira, ma era stata subito cancellata da ella stessa, e al ragazzo dispiacque un po': temeva di dimenticarla, temeva di dimenticare ogni persona che gli avesse reso la vita una cosa nuova, da scoprire, in modo da poterne sempre rimanere affascinato e, in un certo senso, dalla quale trarre sempre forza e risolutezza, anche nei momenti più bui e crudeli, al fine di andare avanti, sempre avanti, e le uniche volte in cui ci si sarebbe guardati dietro le spalle sarebbe stato solo per salutare sprezzanti e beffardi quella parte oscura di sè, sbeffeggiandola: "Volevi buttarmi giù, ma sono stato io a farlo a te." Il proprio passato, quello che tormentava entrambi, e che non se ne sarebbe mai andato via; si poteva almeno tentare di rimediare agli sbagli fatti, e cercare di - se non redimersi - vivere la vita come la si dovrebbe vivere fin dall'inizio. Ad entrambi era stata negata questa possibilità. Sarah Gray aveva atteso mille anni, e ancora non gli era stata elargita, al contrario di Aleksander, e sapete perchè? Perchè lei si era convinta di non potercela fare. Convincendosi di non poter amare, di non poter provare qualcosa, non si ovviava certo al problema, e il ragazzo lo sapeva. Lui, un bambino al confronto, aveva semplicemente vissuto per quello, per ricominciare da capo. E chissà, forse dopo il suo incontro col sovietico, l'avrebbe capito. Forse quei due occhi lucidi che aveva tentato malamente di nascondere ne erano la prova. Forse erano uguali: mostri, bastardi senza rispetto per la vita altrui, e assassini. Ma non l'avevano scelto. Avevano potuto provare una gioia perversa, un senso di appagamento nel farlo, ma cos'è che li accomunava più di ogni altra cosa? Ben più del passato, ben più della propria inumanità, ben più di qualsiasi altra cosa, sapete cos'era? La stanchezza. In quegli occhi velati dagli sguardi terrorizzati e lucidi di lacrime delle loro vittime, le orecchie piene dell'ultimo grido e pianto di chi era stato terminato, la lingua piena del sapore metallico del sangue assaggiato, e le mani sporche di rosso, riscaldate dal calore del fluido, in fondo ai recessi della loro mente piena del ricordo di ognuno di loro, v'era un'unica parola che risuonava: "Basta." E la parola diventava una frase: "Basta. Non voglio." E la frase si ampliava: "Basta. Non voglio più uccidere." E la frase ampliata si tramutava in un concetto: "Perchè? Perchè devo continuare a farlo? Basta, io non voglio uccidere, non voglio affatto, sono stufo di farlo." E c'erano tre parole, tre parole così profonde che li avevano accompagnati per tutta la loro vita: "Io voglio amare." Volevano amare, volevano essere ricambiati. Volevano trovare una persona che li capisse, che sapesse trascinarli fuori da quel loro abisso, e che infine sapesse accettarli in tutta la loro fragilità e complessità. Volevano qualcuno con cui invecchiare, con cui svegliarsi ogni giorno; una persona a cui poter dire ogni giorno: "Io ti amo perchè sei in grado di farmi dimenticare chi ero; ti amo perchè anche se il mio passato mi ricadesse addosso, tu sapresti comunque rendermelo migliore; ti amo perchè sei semplicemente... Così." Non era forse quello il motivo di ogni loro sofferenza e tribolazione? Certo che lo era. Non potevano negarlo.
    Il ragazzo si era appena accorto del passare del tempo, e qualcosa era scattato nel suo cervello. Una sensazione, una sorta di impulso: Il tuo tempo qui è finito, ragazzo. E' ora di andare. - Ma perchè? - Ci sarà tempo e luogo per rivedersi, me lo sento, ma non adesso. Ecco perchè devo andare. - Un paio di passi titubanti, diretti verso la finestra della camera, e la figura del russo ci si stagliò davanti, osservando la Luna, e in seguito la strada deserta che segnalava quanto fosse tardi. - Soniko si starà preoccupando. - Ancora, era sempre nei suoi pensieri. Si ritrovò ad assumere un'aria triste, pensando che alla vampira non fosse toccato lo stesso destino. Eppure, gli stava facendo comunque gli auguri, ma era a LEI che servivano. - No, grazie, non sono il tipo da porta principale. - Un esplicito invito a richiudere la porta. La finestra venne aperta, e una testa si sporse per esaminare la distanza tra il quarto piano e il terreno. Quanto, venti metri? Forse. Perchè se lo stava chiedendo, tra l'altro? - Credo che opterò per la via più rapida. - Metà corpo era ormai in bilico, in piedi, e la faccia del ragazzo era volta verso quella della vampira. - Anche per me lo è stata, sono certo che entrambi abbiamo imparato qualcosa. E spero anch'io di rivederla, Signora Gray. Ma fino ad allora, si ricordi che ha ancora qualcosa da fare. - Le braccia si aprirono, e la bocca si schiuse in un sorriso. - Do svidaniya, Sarah. - Quel tentativo informale di saluto, e la figura del ragazzo cadde all'indietro, nel vuoto, da quattro piani e qualcosa di altezza. L'aria fischiò e passò tutto attorno al corpo del ragazzo, mentre esso si raddrizzava in aria, e in quei pochi secondi che lo separavano dal terreno si fece un'unica domanda: - Ce la farà? - E nello stesso istante, sorridendo e chiudendo gli occhi un attimo, si rispose. - Sì, ce la farà. - Era solo questione di tempo. Pochi secondi dopo, si udì un forte rumore, come di cemento divelto, e dei passi che si allontanavano dalla zona dell'impatto. - E adesso... A casa.






     
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    And then my eyes
    got used to the darkness

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