[Contest] Olympus - Gravedigger;

1° Classificata (Yaoi) Rating: Verde

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    Questa fanfiction ha partecipato al Contest "Un nome speciale".

    Titolo: Olympus
    Autore: Gravedigger;
    Fandom: Fay x Charles
    Personaggi: Charlie e Fay
    Avvertimenti: Questa è una fic ‘What if’, cioè è basata su una variazione della role.
    Rating: Verde
    Genere: Yaoi
    Breve introduzione: E se Fay non avesse chiesto a Charlie di incontrarlo dopo il turno di lavoro? E se non avesse trovato niente di speciale in quel semplice newyorkese dagli occhi umidicci? Charlie, ad ogni modo, avrebbe per sempre ricordato quel giovane dai capelli dorati grazie ad un soprannome. Un soprannome che gli sarebbe appartenuto per sempre.
    N.d.A.: In realtà non so bene cosa ho scritto. Ho partorito questa idea con lo stomaco in subbuglio per un gelato troppo grande, quindi chiedo scusa se a volte alcune frasi non sono comprensibili. Spero che l’idea vi piaccia, ma certamente la prossima volta cercherò di non ridurmi a scriverla il giorno della chiusura del contest. (cosa potrei mai scrivere di bello in sole 24 ore?!) Buona lettura!


    C’erano alcuni giorni, nella vita di Charles, dove semplicemente non riusciva ad alzarsi dalla parte giusta del letto. Letteralmente, intendo.
    Aprì gli occhi e impiegò due buoni minuti per realizzare che, diamine, era sul bordo del materasso e se si fosse mosso di un solo centimetro, la sua faccia sarebbe diventata un tutt’uno con il pavimento marmoreo. Lentamente e con molta attenzione, alzò il busto e arrancò con entrambe le braccia per tirarsi su come meglio poteva. Cercò con aria persa i suoi due cuscini, uno grande come una casa e l’altro vecchio come i suoi antenati, apparentemente scomparsi nel nulla: erano forse passati gli alieni quella notte? Non trovandoli da nessuna parte, prese la sveglia sul comodino e assottigliò gli occhi per leggere i numeri sul quadrante azzurro: le sette e un quarto. Ottimo, almeno non era in ritardo per il lavoro, cosa che ultimamente continuava a succedere giorno dopo giorno. Incrociò le gambe come un indiano e si stropicciò gli occhi a malo-modo, riuscendo infine a inforcarsi gli occhiali sul naso. Nello scendere da letto, però, inciampò in qualcosa che doveva essere uno dei due cuscini dispersi: guardandolo bene, capì che il cadavere ritrovato era quello del cuscino grande per sempre, dato che occupava più di quattro mattonelle. Chinò la schiena e lo raccolse da terra, gettandolo distrattamente sul letto disfatto. Maledizione all’altro, non poteva permettersi di giocare a nascondino la mattina con un oggetto inanimato. Per di più vecchio, insomma. Era pure da buttare, ragione in più per evitare di peso di perdere ore a cercarlo.
    Sbadigliò.
    La sua routine quotidiana era paragonabile a quella di un’ape operaia: noiosa, monotona, stancante e per niente flessibile. Aveva l’orario per la doccia, per il misero pranzo che mangiava per strada, per la pausa dal lavoro, per il suo telefilm preferito, per fare la spesa e per chiamare sua madre. La sua stessa vita faceva schifo, ma forse questo si era già capito.
    Aprì l’acqua del lavandino e si sciacquò velocemente il viso, levandosi quindi l’espressione assonnata e il solito rivolo di bava dal volto; indossò le lenti a contatto e ripose gli occhiali nella vetrinetta. La scelta dei vestiti non era particolarmente complessa: comprendeva jeans, maglietta e felpa, calze e converse nere. Pettinò i capelli e fece una corsa in cucina per bersi un bicchiere di succo alla pesca, infilandosi poi il giubbotto e prendendo la borsa con la sua divisa. La sua meta, come ogni sacrosanta mattina, era la fermata della metro posizionata a qualche isolato dalla sua abitazione. E come ogni sacrosanta mattina, era piena di lavoratori incazzati perché in ritardo alla riunione di lavoro. Chiese ‘permesso’ un centinaio di volte prima di riuscire a contorcersi per salire, tanto che se qualcuno gli avesse chiesto l’ora o il nome della prossima fermata, avrebbe prontamente risposto ‘permesso’. Si guardò in giro e non incontrò neanche un volto felice, se non di qualche bambino piccolo che accompagnava sua madre a fare la spesa. C’erano gli impiegati frustrati, gli alunni con lo zaino pesante dieci quintali, gli anziani che stavano in piedi con due venti e qualche turista mattiniero ansioso di conoscere New York.
    Scese dal mezzo pubblico –cioè, lo spinsero– giusto in tempo prima che le porte si chiudessero alle sue spalle, trovandosi faccia a faccia con l’enorme cartello del suo ristorante. Non proprio il ‘suo’, sia chiaro, era solo il posto dove lavorava, ma che avrebbe bruciato con una tanica di benzina senza pensarci due volte.
    Più o meno in sala funzionava così: saluto ai colleghi, un caffè veloce insieme a loro, cambio di divisa, preparazione dei tavoli e del bar, servizio e pulizia del locale. Così invece era come lo vedeva Charlie: entrata attraverso le porte dell’inferno, tentativi vari di sopravvivenza e uscita vittoriosa senza ferite di battaglia. Non che fosse abituato a sputare nel piatto dove mangiava, no, era riconoscente al suo datore di lavoro (Satana) ma a volte era davvero difficile arrivare alle dieci di sera con ancora il papillon a posto e il sorriso sul volto. Fortunatamente quel giorno era riuscito a prendersi mezza giornata libera, quindi avrebbe svolto solo metà del servizio (lasso di tempo dove potevi seriamente essere dato in pasto ai leoni).
    I clienti del French~Flag erano più o meno tutti uguali: vecchi pieni di soldi e di rughe, coppiette ignare dei prezzi sul menu, single in carriera e tizi che volevano trattare bene le loro amanti. Difficilmente si era trovato davanti bambini o suoi coetanei, questi ultimi preferivano ovviamente luoghi più economici e con buona musica, tipo pub o bar lungo le vie principali. Come biasimarli?
    Quel giorno, tuttavia, si presentò un cliente che Charlie non riuscì ad etichettare come al suo solito; era un giovane sui venticinque anni, alto, occhi azzurri e capelli biondi, dai lineamenti definiti ma delicati, dal sorriso ammaliante e leggermente malizioso. Non poteva rientrare nelle ‘coppiette’, era completamente solo e chiese un tavolo per uno. Non era neanche vecchio, cosa che diede non pochi problemi a Charles; come doveva rivolgersi a lui? Gentile, come verso un ottantenne che aveva giusto due giorni prima di morire, oppure scherzoso come verso i suoi compagni del liceo? Vista l’alta classe del locale stesso, scelse la prima. Ottima scelta, fu quasi tentato dal battersi il cinque da solo.
    Dopo averlo servito, e siccome i clienti erano tutti impegnati a gustarsi il loro consommé e il loro secondo di carne, si ritirò in un angolo e si studiò per bene quel ragazzo. Non era un frequentatore del ristorante, e certamente non era neanche americano. Il suo accento tipicamente inglese era da far girare la testa, così come le sue movenze e il suo stesso atteggiamento.
    Fissò per un po’ il suo viso; era leggermente squadrato, dalla mandibola pronunciata e dalle labbra sottili. Aveva occhi azzurri, di un azzurro particolare e allo stesso tempo ammaliante, così come lo sguardo che si era sentito addosso per tutto il tempo che aveva dedicato all’ordinazione. Fissò poi i capelli; chiari, biondi e mossi, appena disordinati ma sbarazzini. Gli stavano bene, decisamente bene, ma forse ad un tipo così sarebbe stato bene anche un taglio improponibile, Charlie ci avrebbe scommesso anche il suo monolocale. Se questo giovane non avesse aperto bocca, forse il piccoletto lo avrebbe creduto addirittura greco. Gli ricordava terribilmente le statue greche che aveva visto al museo in quarta superiore, quei busti chiari e di marmo, belli da far paura e quasi impossibili da riprodurre. In particolare gli faceva venire in mente Dioniso, il Dio dell’estasi e della liberazione dei sensi.
    Non sapeva neanche il suo nome e già lo aveva associato a qualcosa che sentiva ‘proprio’, anche se si trattava solo di qualcosa di astratto.
    Lo vide alzarsi, sistemarsi il cappotto e uscire dal locale come se quel pranzo fosse stato solo un misero componente della sua giornata. Non che fosse molto altro, ovviamente, eppure Charlie aveva sperato in qualcosa di più. Un saluto, un cenno, un veloce scambio di sguardi: e invece no. Doveva accontentarsi di sparecchiare il piccolo tavolo dove poco prima vi era seduto il Dio Greco. Inconsapevolmente finì per etichettarlo sotto questa voce, una voce che avrebbe certamente aggiunto al suo dizionario personale e che gli avrebbe fatto venire in mente il volto di quel giovane. Chissà se l’avrebbe rivisto; sperò solo di non averlo perso per sempre, perché infondo Charlie non avrebbe potuto scavalcare i cancelli dell’Olimpo per riprenderselo. Avrebbe potuto spedire una lettera a Cupido, o lanciare una corda in cielo con la speranza di catturarlo da una qualche nuvola, ma le speranze erano davvero poche.
    Pazienza, un giorno o l’altro si sarebbe recato in agenzia di viaggi per chiedere un biglietto di sola andata per l’Olimpo: lì, finalmente, avrebbe potuto rivedere il suo bel Dio greco.

    Fine.


    Recensioni


    LinaLee

    Giudizio: Grave dimostri come sempre di avere un vocabolario molto ampio, che fa del tuo uno stile quasi perfetto. Niente da dire per la grammatica, mentre devo ammettere che, inizialmente, dopo aver letto la tua fiction, sono rimasta con una sorta di amaro in bocca. Si perché pensavo che il famigerato Dio Greco tornasse nel locale, o si rivedesse in qualche modo con Charlie. E invece nulla, niente di niente. Poi ci ho riflettuto e ho capito che anche tu, come le altre, hai trattato un altro aspetto ancora di questo tema: il soprannome può essere dato da una persona ad un’altra, senza che quest’ultima lo sappia, può esistere solo nella mente di una delle due, eppure aver comunque la sua importanza. Una volta capitolo, quel senso di amaro in bocca è venuto meno!

    LadyX

    Giudizio: Fanfiction che ricalca i primi post della role e che quindi ricorda e rimanda immediatamente al primo incontro tra i personaggi. Se questo era l'obiettivo, ottimo, è stato raggiunto. Idem per quanto riguarda al caratterizzazione dei personaggi, descritti con poche parole, ma che subito fanno capire chi si ha davanti.
    Qualche errore di grammatica qua e là, probabilmente dovuto a delle sviste.
    Nulla da dire, la fanfiction era scritta molto bene.

    Xasar

    Giudizio: Una storia introspettiva che nulla toglie alla trama ma, tutt'altro, l'arricchisce e la rende più di una semplice descrizione della tipica routine quotidiana del personaggio di cui abbiamo l'onore di vedere le gesta. Una routine destinata forse a spezzarsi nel momento in cui dovrà affrontare l'incontro post lavoro. Mi piace come andante, mi piace lo stile narrativo e non ho notato errori grammaticali degni di nota. Originale quel nome, Dioniso, forse destinato a diventare ben più di un'etichetta, di una voce nel vocabolario personale di Charles.
     
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0 replies since 2/4/2013, 20:32   68 views
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