[CONTEST] Il Santuario - Lle

1° Classificata (Hentai) Rating: Arancio/Rosso

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    Dall'Europa avvolta dalle tenebre...oppure dall'Antica Grecia...

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    .Titolo: Il Santuario
    .Autore: Lle
    .Fandom: Tratta dalla role Ashlar x Nemirwen
    .Personaggi: Ashlar Mc'Orleans
    .Avvertimenti: Lime
    .Rating: Arancio/Rosso
    .Genere: Hentai
    .Breve introduzione: Chiamava quel luogo“il Santuario”, un nome che rappresentava una consacrazione per lui. In ogni angolo della stanza su cui lo sguardo potesse scorrere vi erano opere d'arte, oggetti da collezione, gioielli.. [...] Perché il giovane Mc'Orleans, padrone di un'industria fiorente e capo di una banda mafiosa era soggetto ad infatuazioni brucianti, ma sempre passeggere. Niente durava 'per sempre' nella sua cupa vita di uomo frustrato e nevrotico. Aveva sempre bisogno di altro, di più.. Un aspetto oscuro della sua personalità ebbra di ossessioni morbose verso oggetti pregiati..


    Lo faceva ogni giorno, più volte al giorno.
    Ne sentiva il bisogno, un bisogno fisico e sfacciato che prorompeva nella sua testa, gli catturava i pensieri e lo costringeva ad obbedire, ad abbandonare ogni dovere, a distrarsi da ogni impegno.
    Raggiungeva così la porta, la porta della sua stanza privata a cui l'accesso era negato ad altri: quindi sfilava dalla testa la collana contenente la chiave necessaria a sbloccarne la serratura ed entrava.
    Chiamava quel luogo“il Santuario”, un nome che rappresentava una consacrazione per lui.
    In ogni angolo della stanza su cui lo sguardo potesse scorrere vi erano opere d'arte, oggetti da collezione, gioielli. Alla luce del giorno che penetrava dalle finestre in alabastro, essi rilucevano, brillavano.
    Lui era l'unico uomo a possedere una collezione simile di tesori, l'unico sacerdote ad averne la custodia. Nessun altra persona poteva essere abbastanza sacra ed abbastanza pura per assistere a quel sfolgorio senza rimanerne accecato.
    Sulle mensole vi erano bronzi cinesi, maioliche azzurre, colonne romane sormontate da cesti di frutti in vetro, pelli di serpenti, grandi sfere geografiche, oggetti liturgici come calici e reliquie. Sopra al lucido pianoforte del IX secolo, si trovavano alcuni degli spartiti musicali appartenuti a famosi compositori; la libreria in legno di noce era ricolma di rotoli di pergamena, manuali medievali, pregiate copie di libri i cui originali erano introvabili. Sulla scrivania un completo da scrittoio firmato da un rinomato arredatore, un'aquila in argento ed una testa in marmo del Buddha. Sul pavimento, un magnifico esemplare di leone imbalsamato, un pavone con la coda spalancata, una raccolta di statue di gesso e marmo sul loro basamento originale. Su tutte le pareti, quadri e stampe di inestimabile valore, dipinti di pittori del passato. Dentro a teche di cristallo, luminosi diamanti e colorate pietre preziose.
    Ashlar Mc'Orleans si abbandonava al fascino di quello spettacolo come un bambino davanti alla magia di un caleidoscopio, inspirando a fondo l'aria profumata di incenso al sandalo. Uomo devoto, passeggiava fra i tesori raccolti in una vita da collezionista ossessionato; dapprima li sfiorava con reverente delicatezza, poi con tocco deciso saggiava la fattura con le dita, il materiale con i polpastrelli. Nel farlo percepiva sempre una scossa di eccitazione attraversargli i nervi che, proseguendo la visita, si ingrossava in un'erezione fastidiosa, costretta nei pantaloni di marca.
    Non c'era niente di più splendido al mondo che la sua stanza, pregno utero di fasti e vittorie ottenute con sudore e sangue: spesso non suo. Spietato usuraio, aveva ucciso per ottenere qualche oggetto di cui in passato si era invaghito e che ora non rappresentava altro che un numero nella vasta collezione. Perché il giovane Mc'Orleans, padrone di un'industria fiorente e capo di una banda mafiosa era soggetto ad infatuazioni brucianti, ma sempre passeggere. Niente durava 'per sempre' nella sua cupa vita di uomo frustrato e nevrotico. Aveva sempre bisogno di altro, di più.. Un aspetto oscuro della sua personalità, ebbra di ossessioni morbose verso oggetti pregiati, certo, ma semplici vezzi di un mausoleo contenente ogni forma di bizzarro, di stravagante, di eclettico.
    Ora Ashlar era lì per lei, la sua nuova conquista, la sua bellissima fiamma. Una statua originale, sudamericana, arricchita di smeraldi e rappresentante una donna dai grossi seni e la pancia feconda: la dea Madre, la Terra fertile.
    Era qualcosa di appena abbozzato, di scheggiato in più punti, ma di una sensualità squisita e di un'oscenità erotica. La statua sembrava esser stata privata del superfluo ed enfatizzata nei suoi attributi femminili solo per assecondare il perverso desiderio del nuovo proprietario.
    Ashlar la raggiunse e, appena titubante, appoggiò i palmi caldi sui freddi seni della donna di terracotta. Era consapevole che il tocco sudato delle sue mani, se prolungato, avrebbe potuto danneggiare il materiale; ma aveva bisogno di sentirla, di farla sua. Quella era la quarta volta che accadeva.
    Le palpò le dure rotondità. Socchiuse gli occhi ed ebbe la percezione di udirla ansimare, ma erano i propri sospiri maschili quelli che sentiva nelle orecchie. Lasciò scivolare le dita fino alla pancia della Madre, gravida della Natura, della flora e della fauna, del mondo come gli uomini lo conoscevano; dalle acque del suo parto, sarebbero stati generati gli oceani ed i fiumi.
    Ad Ashlar sembrò di avere le mani sull'intero Creato ed era una sensazione di assoluto potere. I suoi ansimi si fecero più rochi, più svelti. Slacciò i pantaloni ed appoggiò la punta rovente del proprio sesso sulla pancia della Madre Terra. Si chiese che cosa sarebbe potuto nascere da un loro amplesso. E nell'immaginarlo, si credette un dio.
    I suoi movimenti furono veloci, rapaci come il suo sguardo da aquila. E si strofinò addosso a lei fino a venirle contro, addosso. Il suo seme opacizzò la superficie chiara degli smeraldi verdi e sporcò i seni della statua, il suo volto brevemente accennato in rozzi lineamenti.
    L'uomo pulì ogni cosa, con la stessa attenzione di sempre, ma percependo in sé un vago senso di eccitazione colpevole. Con l'orgasmo aveva raggiunto un alto grado di godimento ma questo adesso svaniva e non gli lasciava altro che un vuoto nell'anima.
    Ed ecco! Ecco che ora accadeva. Se guardava quella statuetta ripulita, non percepiva più il suo fascino femmineo di cui era stato vittima fino a quell'attimo.
    Al suo quarto orgasmo su di lei, la magia si era spezzata, l'incantesimo era svanito.
    Adesso quell'opera d'arte non costituiva più motivo d'eccitazione.. era cioè un'opera qualsiasi, come tutto il resto su cui, lì dentro, era venuto copiosamente e più volte, fino a stufarsene. Era una sorta di battesimo inverso, il suo. Con i suoi schizzi sacrileghi, sempre più intensi, violava la sacralità dei suoi tesori.
    Uscì dal Santuario con la consapevolezza di non aver più alcuna infatuazione a renderlo schiavo. E come un drogato, ne sentì immediatamente la necessità..
    Avrebbe dovuto cercare ed avere un nuovo tesoro su cui sfogare la sua anima dannata. Un nuovo gingillo, più attraente, più arrapante.. Una nuova ossessione. Ancora più forte, ancora più sfrenata.


    Recensioni

    Lina Lee

    E’ la prima volta che leggo una fiction scritta da Lle (ho letto tue role, ma è qualcosa di “diverso”, se così possiamo dire) e ne sono rimasta letteralmente affascinata. Da subito il lettore viene immerso in un’atmosfera quasi soffocante, data dalla morbosità del protagonista, che è anche il suo particolare feticismo. Ti assicuro che leggendo era come se voltandomi mi ritrovassi letteralmente circondata da queste opere d’arte, ma non era qualcosa di piacevole (e non è facile per una persona che scrive far immedesimare a tal punto chi legge!). La cosa però che più mi ha lasciata di stucco è stato proprio il feticismo particolare del tuo personaggio: arrivare a venire toccando la statuetta votiva rappresentante la fertilità, strusciandosi su di essa…beh, ci vuole proprio una certa perversione!
    E poi….fine di tutto! Si stanca dopo alcune volte che viene addosso alle sue opere e le lascia lì in quella sorta di santuario, andandole solo a vedere di tanto in tanto, ma senza provare più l’attrazione iniziale. Sinceramente mi ha ricordato la frase di Allen Walker che io adoro e che uso ovunque: “ogni essere umano ha una parte di tenebra dentro il proprio cuore”. Per me, la tenebra del tuo personaggio è proprio queta morbosità e perversione, che tu hai reso in maniera impeccabile.
    Niente da dire per quanto riguarda lo stile, scorrevole e fluido, e la grammatica, pressoché perfetta. Davvero tanti complimenti, hai creato una fan fiction veramente straordinaria.


    Alichino

    Puntando sul personaggio di Ashlar, Lle opta per il pigmalionismo come fetish portante della sua fiction; l’oggetto è perciò fulcro attivo dell’erotismo e innesco del soddisfacimento sessuale, nel suo essere immobile, percepibile e ‘idolo’ di un culto a esso consacrato.
    L’introduzione è prettamente contemplativa, con l’intento del protagonista di crogiolarsi e perdersi in maniera dionisiaca nel piacere dello sguardo, in una sorta di rivisitazione panica dell’adesione al circostante (per quanto in questo caso si tratti di trofei artificiali e non della ‘natura’ in sé, ma di una statua che fornisce la rappresentazione della stessa, un tramite, quindi).
    Nel momento in cui la donna in terracotta è svelata dallo sguardo del collezionista, l’approccio feticista diventa attivo e determina l’amplesso, una necessità impellente che è scandita in maniera ritmica nell’arco narrativo, in un crescendo passionale.
    Ashlar è ritratto in una fase avanzata della propria patologia: finito il rapporto, terminano anche l’escalation e il mordente esercitato dalla Venere. Il distacco avviene con una cesura netta, un'estraneità che l'uomo non aveva preventivato e che giunge improvvisa, per quanto prevedibile e 'attesa' dal lettore; appagare il desiderio equivale a una stasi mortifera, all'annientamento della ricerca, che Ashlar non può concedersi. L’ultimo sguardo è figurativamente lontano, perché osservare l’oggetto non permette di trarre piacere e ciò, paradossalmente, intensifica la mania doverosa di vagare e scovare l'ebbrezza in altro, acuendo il comportamento deviato e la sua recidività.
    I tesori accumulati svestono la parvenza erotica e tornano a decretare invece la padronanza e la capacità di possesso del protagonista, l'ampio spettro dei suoi interessi e dell'opulenza di cui si circonda, come ne amplificano il ‘vuoto’ e il senso di inafferrabile insoddisfazione.
    Da questo punto di vista Lle riesce a seguire il vademecum psicologico del feticista (anziché ricrearne lo spessore, mette a nudo la sensorialità) e ne dà uno spaccato credibile nella finzione narrativa, utilizzando un registro stilistico che emula quello sadiano e si rifà ad atmosfere filo-ottocentesche, per quanto riguarda l’enfasi dell’io narrante. La voce, che riporta direttamente gli eventi è difatti ricca, talvolta pedante nella ripetizione dei termini ed esagerata nelle espressioni ricorrenti, ma altrettanto partecipe e sentita, organizzata nello scheletro della trama.


    +Kira+

    Una ff particolare, non c'è che dire, belle le descrizioni, si entra nella mente del personaggio e si capisce il suo bisogno morboso di fare quello che fa.
     
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