Exaleiptron

Ares x Aristeo - sentimentale, flashback

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Rainbow Whisper
    Posts
    4,783
    Bidobbidi
    +360
    Location
    Morthal

    Status
    Dead
    .Titolo: Exaleiptron
    .Autore: Seebaru
    .Fandom: Ares x Aristeo
    .Personaggi: Ares, Aristeo, altri
    .Avvertimenti: nessuno
    .Rating: giallo
    .Genere: sentimentale, flashback
    .Breve introduzione:
    La freccia di Eros è un'arma estremamente potente. Non manca mai di colpire il suo bersaglio e in genere solo un animo molto forte è capace di guarire da una ferita del genere.
    Quel giorno Eros scoccò due frecce, una dietro l'altra; mai si sarebbe aspettato, tuttavia, di dover fronteggiare una battaglia per via del proprio gesto.
    .Note dell'Autrice: Questa fanfiction contiene spoiler riguardo lo svolgimento della role AresxAristeo, specialmente per quanto riguarda il passato di Ares. Questi eventi non sono un "what if" o una situazione ipotetica, ma fatti che andranno a ricollegarsi alla role in corso.

    Exaleiptron

    Il ragazzo era biondo, con brillanti occhi azzurri e pelle chiara. A vederlo di sfuggita sarebbe potuto tranquillamente passare per una ragazza, ma più parlava e si muoveva, meno spazio si lasciava a dubbi di quel tipo. Lo sguardo che Ares stava rivolgendo a quel giovane, sempre più acceso da una voglia in costante crescita, era impossibile da equivocare.
    Eros sorrise, negli occhi rossi la stessa luce divertita che spesso compariva nello sguardo del dio della guerra e nel sorriso la stessa dolcezza incantevole della dea della bellezza. Prese il proprio arco e dalla faretra trasse una freccia dalla punta acuminata e scintillante.
    Era stato richiamato da quello scenario, incuriosito nel vedere cos'avrebbe fatto Ares contro un ragazzino mortale come quello. Da un primo momento in cui pareva solo intenzionato a cercare un divertimento innocente, le cose erano degenerate in gesti più audaci e intimi da parte sua. La parte più curiosa era nel fatto che Aristeo - quello era il nome del mortale, stando a quanto Eros aveva compreso nel guardarli di nascosto - non pareva essersi affatto reso conto della brutta situazione in cui si era cacciato. Ancora poco e il dio della guerra lo avrebbe usato a piacimento e poi buttato via, come uno straccio. Accadeva sempre così: le donne erano una calamita per le frecce di Eros, a volte, quando Ares entrava in confidenza con loro... e probabilmente era così anche per gli uomini, anche se Eros non aveva mai quel dio interessarsi a un maschio in quel senso.
    Fatto stava che, mentre aspettava di scoccare la freccia, Eros pensò a un'idea divertente. Sorrise di più, mentre spostava la mira dal cuore giovane e palpitante di Aristeo a quello assetato di sangue di Ares.
    Sarebbe stato interessante vedere Ares cedere per primo al potere delle sue frecce. Chissà che umiliazione, per lui, vedersi vittima di un incanto potente come quello che lo vedeva correre dietro alle grazie di un mortale! Maschio, per di più! Una tentazione troppo ghiotta, una situazione troppo azzeccata e perfetta per lasciarsela sfuggire.
    Fu così che, finalmente, Eros tese l'arco. Sorrise.
    «Vediamo un po' come farai adesso».
    La freccia schizzò via con un sibilo appena accennato, silenziosa mentre fendeva l'aria dritta verso il proprio obiettivo. Ares non si accorse di niente, impegnato a tastare il corpo piccolo e caldo di Aristeo e a pregustarsi il divertimento di quella giornata.
    Fu colpito in pieno. All'inizio nessuno vedeva quello spettacolo, se non Eros stesso: la freccia per tutti gli altri era invisibile, la ferita spesso impossibile da avvertire. La punta, comunque, raggiunse tranquillamente il corpo del dio, conficcandosi alla perfezione.
    Nello stesso istante, però, Eros udì qualcosa che non si aspettava. Un rumore cupo e vacuo, insolito, che lo raggiunse proprio dal punto in cui la freccia aveva leso il cuore dell'immortale. Gli rimbombò nelle orecchie come un'eco minacciosa, che gli fece perdere il sorriso e aguzzare la vista sul quadretto che aveva davanti.
    Qualcosa era andato storto - ne era sicuro, ma non aveva prove a sostegno di quel presentimento. Ares nel frattempo stava ritornando sui suoi passi: lasciò andare Aristeo in modo brusco, intimandogli di andarsene e minacciandolo per un loro ipotetico incontro futuro. Minacce vuote, come Eros sapeva bene; non avrebbe mai più osato torcere un capello ad Aristeo, finché i suoi sentimenti d'amore gliel'avessero impedito.
    Eppure c'era ancora un tassello fuori posto. Un elemento mancante, in quell'intera situazione.
    Cos'era stato quel rumore che aveva sentito prima? Che cosa l'aveva causato?
    Che un dio si ritrovasse spaesato davanti agli esiti del suo stesso incantesimo era davvero inaudito. Eros si fece cupo in viso, spiegando le enormi ali per prendere il volo.
    Aveva intenzione di scoprire cos'era successo... e l'avrebbe fatto partendo dalle radici stesse dell'amore.

    «Eros, che gioia vederti!» esclamò Afrodite quando lo vide, rivolgendogli un sorriso radioso. La bellissima dea dell'amore era avvolta in un peplo color pesca e profumava di fiori; Eros era arrivato nelle stanze private della sua immensa dimora in cima all'Olimpo proprio mentre lei era intenta a farsi cospargere i capelli di oli profumati e fiori freschi.
    Il giovane dio le sorrise, sentendo distintamente lo stomaco contrarsi nel vederla così felice. Anche se era suo figlio, Afrodite rappresentava esattamente il tipo di dolce, attraente tentazione che a lui piaceva tanto. Nessuno era immune all'attrazione primordiale che lei suscitava.
    Mentre la abbracciava e la baciava nel ricambiare il saluto, Eros non riuscì a sforzarsi di sorridere. I suoi occhi rossi continuavano ad essere pensierosi e Afrodite non si lasciò sfuggire quel particolare. Quest'ultima lo prese per mano e lo condusse al proprio letto.
    «Lasciateci, ora! Voglio poter parlare liberamente con Eros».
    Lo invitò a distendersi sul letto. Lei si accomodò sul bordo e gli fece appoggiare il capo sul suo grembo. Eros sospirò e chiuse gli occhi, godendo della sensazione soffice e confortevole di quel contatto. Afrodite parlò solo quando furono soli.
    «Hai giocato uno scherzo di pessimo gusto ad Ares» osservò.
    Il figlio la guardò sorpreso. «Lo sai?»
    Lei annuì. «Lo so. Sei sempre stato irriverente, sin da quando sei comparso nel pantheon... ma non avrei mai creduto che Ares sarebbe finito nelle tue mire». Il suo sguardo si era fatto malinconico. Improvvisamente la sua gioia pareva appassita, tanto da far stringere il cuore. «Era solo questione di tempo, forse. Dopotutto non ti sei mai fatto scrupoli a colpire chiunque volessi: io stessa sono stata una tua vittima in più di un'occasione».
    Eros sorrise leggermente al pensiero. «Questo mi rende le cose più semplici. Sai già perché sono qui?»
    «Non sei qui per vedere il mio bel viso e godere della mia compagnia?»
    «Mi piacerebbe poter dire di sì, madre» mormorò distrattamente Eros, sollevano una mano per carezzarle delicatamente la guancia. Afrodite non si scostò, ma il dio sapeva bene che quello non equivaleva a un invito. «La verità è che, quando ho colpito Ares, la freccia ha fatto uno strano rumore». Fece una pausa, ma visto che l'altra non stava dicendo nulla, proseguì: «Era strano, mi è rimbombato nelle orecchie. Come se...»
    «Come se la punta fosse affondata nel vuoto, anziché nel suo bersaglio. Ho indovinato?» lo interruppe Afrodite, completando la frase al posto suo. «Le tue frecce sono davvero potenti come sembrano. Sono riuscite anche a scoprire un segreto del genere. Non ti si può proprio nascondere nulla, Eros».
    Il dio dell'amore si fece più attento, spiegando appena le ali e guardando più attento il viso della madre dalla propria posizione. «Quindi tu sai che significa. Dimmi tutto!»
    Lei gli rivolse un sorriso malinconico. «Te lo dirò, Eros, anche se non è una bella storia. Risale a molto tempo fa, quando ancora l'Olimpo non era popolato che dai Dodici: prima che tu nascessi». Il suo sguardo trasognato si perse verso i tendaggi colorati e le suppellettili eleganti sparsi per la stanza. «A quel tempo non esisteva un vero amore romantico. Io ero l'unica vera dea dell'amore e i sentimenti erano legati soprattutto all'istinto, al desiderio carnale. Il matrimonio non esisteva, così come non c'erano gli amori eterni e imperituri di oggi. E' così che tutto è cominciato».
    Fu così che, carezzando delicatamente i capelli biondi del dio dell'innamoramento, Afrodite cominciò a raccontare.

    Ares a quel tempo trascorreva molto più tempo sull'Olimpo, insieme alle altre divinità, anche se il tempo trascorso in Tracia in mezzo ai mortali continuava ad essere prezioso e speciale per lui. Era lui, soprattutto, a scatenare gli animi volubili degli dei, in quei tempi: Afrodite era ancora libera dal vincolo del matrimonio con Efesto e non c'era uomo immortale, su quella vetta, che non desiderasse ardentemente di poterla avere tutta per sé. Come era ovvio concludere, la dea non si faceva scrupoli nel dedicare le proprie dolci attenzioni a chiunque se ne dimostrasse degno nel corso di una giornata.
    Per quanto potesse sembrare strano, Ares non era tanto preso da Afrodite, a quel tempo - sarebbe stata l'idea dell'adulterio, del possedere una donna vincolata a un altro uomo, ad accendere in lui la passione in futuro.
    L'inizio della vicenda coincise con una festa in nome di Artemide, tenutasi sull'Olimpo. Per l'occasione Zeus aveva popolato il banchetto delle scarse divinità minori allora presenti: la moltitudine di ninfe procreate dai titani, i satiri, gli spiriti dei focolari, i daemon protettori dei mortali. Ci furono canti, balli e cibi deliziosi, e furono serviti ambrosia e nettare in gran quantità. Nessuno esitò nemmeno nello spingersi oltre con i divertimenti: qualcuno si azzardò a sollevare la stoffa di un paio di pepli, occhiate lascive corsero da un lato all'altro della lunga tavola imbandita, delle labbra si avvicinarono in baci umidi che sapevano di vino.
    Fu allora che, mentre Ares con una mano si portava alla bocca altri teneri bocconi di selvaggina cosparsa di odori, all'altra sentì distintamente il proprio calice che veniva nuovamente riempito. Si voltò per vedere chi era stato a versargli ancora vino.
    Il suo sguardo acceso incrociò quello cristallino di una ninfa. I suoi occhi erano chiari e azzurri come le acque di un lago, cui probabilmente era legata la sua natura: lo diceva il suo peplo decorato da fiori con petali grandi e carnosi, lo diceva la sua pelle tanto bianca da sembrare quella di uno spettro - come se non si fosse trovata davvero lì, ma avesse lasciato un pezzo di se stessa nel lago da cui era stata generata.
    I due si scambiarono un'occhiata penetrante. Alla fine Ares abbandonò il proprio calice e la costrinse ad avvicinarsi di più, annullando le distanze tra i loro corpi.
    Avvenne così, senza una parola, senza una promessa da parte di nessuno. Si erano visti, si erano desiderati per un istante ed era stato sufficiente. Per lei il fatto che Ares fosse il dio della guerra non aveva alcuna importanza: l'amore, a quel tempo, aveva quella natura. Per lui, allo stesso modo, bastò conoscere il suo nome: Bistonis.
    I due cominciarono a vedersi praticamente ogni giorno. Si rincorrevano nel bosco che accoglieva il lago della ninfa, si distendevano al sole uno accanto all'altra, si rotolavano insieme tra i cespugli di fiori selvatici e l'erba alta. Ares era preso da lei come solo un dio poteva esserlo.
    Un giorno, tuttavia, Bistonis fu sorpresa da due mortali mentre faceva il bagno e venne violentata. Ares riuscì a raggiungerli solo quando ormai quegli uomini erano già intenti a macchiarla; fu allora che, preso dall'ira, trafisse entrambi con la lancia più volte, finché di entrambi non rimase che un ammasso di carne sanguinolenta che tinse quel terreno fertile e puro.
    Bistonis non si riprese mai da quell'evento. Ares tentò più volte di risollevarla, ma per quanto le dedicasse baci e gesti gentili, per quanto delicato si mostrasse nei suoi confronti, la ninfa non tornò mai più a sorridere. Si sentiva sporca, e quella macchia non era niente che nemmeno il suo amore per Ares potesse rimuovere in nessuna maniera. Resistette non più di un quarto di luna, dopodiché rubò all'amato la sua arma prediletta e si uccise.
    Ares, furioso per l'esito di quella vicenda, fu inavvicinabile per un periodo che parve infinito. L'umanità si bagnò di sangue con battaglie e guerre interminabili, senza che la pace raggiungesse alcun angolo conosciuto: Gaia si tinse di rosso. Nemmeno Eris osò avvicinarsi al fratello, tanto violento fu il suo furore.
    Incapaci di sostenere ulteriormente quella situazione, Zeus ed Era tentarono di placare la sua ira. Ares, tuttavia, non fu capace di ascoltarli.
    «Perché ascoltare i mortali e le loro preghiere? Perché mostrare pietà verso qualcuno che non fa che usarci per i propri scopi? Come dio, perché dovrei essere agli ordini di uno schifoso microbo? Che muoiano tutti, piuttosto! Non mi fermerò finché non saranno tutti sterminati!»
    Era, imperturbabile, gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla, leggera. «Ares, devi placarti. Non puoi continuare a crogiolarti nel tuo dolore in questo modo».
    Gli occhi del dio della guerra lampeggiarono d'ira. «Non dirlo! Non dirmi di calmarmi! Come puoi parlare come se sapessi tutto? Tu non hai idea di cosa io stia provando!»
    Il re e la regina dell'Olimpo si guardarono, scambiandosi un'occhiata d'intesa che tra loro due era una rarità. Infine fu Zeus a parlare.
    «C'è un modo perché tu possa smettere per sempre di soffrire».
    Ares continuò a guardare entrambi minaccioso. «Come pensate di farlo? Non ho intenzione di cavarmi il cuore dal petto».
    Era gli sorrise dolce. «Non ti chiederemmo mai di fare una cosa del genere. Così facendo non soffriresti più, ma oltre a questo, per te ogni genere di sentimento perderebbe di significato... e questo ti porterebbe anche a dimenticare per sempre ciò che Bistonis è stato per te. C'è un altro modo, tuttavia, in cui tu potrai liberarti dal dolore senza rinnegare ciò che è stato».
    Ares tenne la fronte aggrottata, ma restò in ascolto. «Ebbene?»
    Fu così che, come unico dono al figlio tanto odiato, Zeus ed Era diedero ad Ares un contenitore in ceramica. Su di esso era stata raffigurata, rosso su nero, la scena di un guerriero e una giovane donna che correvano tra gli alberi.

    «Era un Exaleiptron divino» spiegò Afrodite, continuando a raccontare. «Un contenitore speciale in cui si potevano rinchiudere le emozioni. Nel caso di un mortale, può anche racchiuderle tutte; se si tratta di un dio, può contenerne due. L'Exaleiptron le custodisce dentro di sé in modo che non possano raggiungere il proprietario, se non aprendo il contenitore o distruggendolo».
    Eros sgranò gli occhi rossi, sollevandosi dal grembo della madre per mettersi a sedere e guardarla sconvolto. «E che cosa fece Ares? Lo sterminio finì, il suo strazio è sicuramente finito, ma in che modo l'ha fatto?»
    «Ares scelse di rinchiudervi la propria tristezza, in modo da non dover mai più provare un simile dolore una seconda volta» rispose Afrodite, abbassando lo sguardo sulle proprie mani, ora posate sul grembo vuoto «e la propria paura, per non provare mai più timore davanti alle possibili minacce, specialmente da parte dei mortali».
    Eros scosse la testa. «Non è possibile».
    La dea ridacchiò. «Sempre testardo, Eros, figlio mio! Eppure è così. Da allora Ares non fu mai più visto in preda alla tristezza, né alla paura. Bistonis era morta, e lui riuscì a mettere da parte i propri sentimenti per lei una volta per tutte: non ha senso che un dio dedichi la propria esistenza al dolore per la perdita di un'amante anonima come quella, e finalmente lui riuscì a ritrovare il senno e ad andare avanti».
    Sembrava molto soddisfatta di quell'esito. Eros si disse che per Afrodite non aveva senso preoccuparsi degli altri, finché non veniva coinvolta personalmente: forse il suo unico interesse era di poter avere una propria esclusiva su Ares - magari non come innamorata, ma certamente come amante prediletta.
    Quell'intera storia aveva sconvolto il dio dell'amore più di quanto Afrodite stessa si era immaginata. Era impallidito, sconvolto all'idea di ciò che comportava l'esistenza di quell'Exaleiptron.
    «E' ovvio, quindi, che la mia freccia abbia fatto quel rumore» mormorò Eros tra sé. «Non ha portato a termine il proprio compito. Senza tristezza e paura Ares potrà anche amare con trasporto qualcuno, gioire della sua presenza e adirarsi quando le cose non vanno a suo favore... ma non potrà mai avere paura di perderlo, o che gli succeda qualcosa. Se al suo amante capitasse qualcosa, o se morisse, Ares non proverebbe alcun dolore».
    Afrodite sorrise melliflua. «E' sufficiente che Ares si crogioli nella metà bella dell'amore: quella fatta di gioia e di giochi tra le lenzuola. Per quanto mi riguarda, l'Exaleiptron può restare ben chiuso e al sicuro dove si trova... e lo dico come dea dell'amore originaria, Eros».

    Quella storia aveva un sapore amaro sulla lingua di Eros, che improvvisamente non trovò più lo scherzo fatto al dio della guerra così spassoso come aveva creduto. Non c'era divertimento nell'osservare un amore a metà: doveva esserci anche struggimento, gelosia, desiderio di protezione per essere autentico.
    Sospirò lievemente mentre continuava a osservare Ares e Aristeo. Il primo era andato a cercare il giovane mortale direttamente a casa sua, seguendo più o meno il comportamento di qualunque futuro innamorato, pur non rendendosene conto pienamente. Aristeo era davvero contento, a vedersi.
    Che sciocco. Lui non sa che quei sentimenti sono privi di sostegni solidi, pensò Eros.
    «Sono davvero belli insieme» mormorò una voce al suo orecchio, facendolo sobbalzare.
    Accanto a lui c'era Anteros, comparso dal nulla. Osservava con occhi chiari la scena, sulle labbra un sorriso vagamente interessato.
    «Questa faccenda non è per te, fidati. Vattene via!» borbottò Eros. «Ehi!»
    Anteros aveva già preso il suo arco, insieme a una freccia dorata. Gli sorrise tranquillo.
    «Ti divertiresti a vedere ancora Ares stare alla mercé di un mortale, vero? Io credo che quel ragazzo sia già più che pronto per ricambiare il suo amore».
    «E' troppo presto, non lo vedi?» ribatté Eros. «E comunque non ne vale la pena. L'amore di Ares non arriverà mai abbastanza in profondità da poterlo ricam... aspetta, no! Anteros, sul serio, fermati!»
    Troppo tardi. Anteros aveva già teso l'arco e scoccato la freccia, che si andò a conficcare nel cuore di Aristeo in un movimento fulmineo quanto silenzioso. Il giovane dio dell'amore corrisposto ridacchiò mentre restituiva l'arco al fratello.
    «Hai l'aria sconvolta, Eros, dovresti vederti! E dire che non ti sei mai preoccupato delle conseguenze di un amore, prima d'ora. Non è che questa storia ti sta interessando più di quanto tu non voglia dare a vedere?»
    Suo fratello non capiva, perché non sapeva cos'era successo quando era stata scagliata la prima freccia. Eros restò a guardare, quindi, mentre il cuore di Aristeo si scaldava per il nuovo sentimento appena sbocciato e il suo sorriso gli illuminava lo sguardo come mai era successo prima.

    Il dio dell'amore si era rassegnato, ormai, per quella faccenda. Ares era troppo orgoglioso per poter ammettere con leggerezza di essere innamorato di un uomo, inoltre i suoi sentimenti incompleti non sarebbero mai stati sufficienti a ricambiare l'amore puro e integro di qualcun altro, anche se mortale.
    Eros si sorprese, quindi, quando vide il padre giungere al suo cospetto senza preavviso, con espressione seria in volto e il portamento di chi sta per dichiarare guerra.
    «Alla fine sei venuto qui» osservò il giovane dio, spiegando leggermente le ali con l'avvicinarsi di Ares. Si sentiva sempre in soggezione quando si trovava nelle sue vicinanze. «Ero convinto che non te ne saresti mai accorto... anzi, che non saresti mai stato disposto ad ammetterlo».
    L'espressione del dio gli suggerì che aveva centrato il punto. Il dio della guerra non pareva avere intenzione di prolungare ulteriormente il discorso.
    «Quindi è così» mormorò Ares. «Sono innamorato di Aristeo. Hai davvero scagliato quella freccia contro di me. Da quando?»
    Eros si strinse nelle spalle. «Eravate vicino a un tempio distrutto. Tu lo volevi violentare. Ricordi?»
    Ares annuì. «Il nostro primo incontro. Così si risolvono anche due o tre dubbi che mi portavo dietro da qualche tempo. Non è normale che mi lasci convincere da un semplice mortale a non usare la violenza, dopotutto».
    Ci fu un lungo silenzio. Eros teneva la testa alta, deciso a fronteggiare Ares a viso aperto senza lasciarsi intimidire. Quest'ultimo dopo un po' gli diede le spalle.
    «Tutto qui?» Eros s'indignò, muovendo due passi avanti. «Non volevi dirmi nient'altro?»
    Ares rise leggermente. «Cos'altro vuoi che ti dica? Ho saputo quello che mi occorreva. Volevo esserne sicuro prima di decidere come comportarmi».
    Si allontanò ancora, diretto al proprio carro. Eros, tuttavia, non riuscì a trattenersi.
    «Credi forse che il mio dardo possa farti alcunché, senza che tu apra l'Exaleiptron?»
    Lo vide fermarsi di colpo, le spalle improvvisamente tese. Non si voltò. «Come lo sai?»
    «Me l'ha detto Afrodite. Ti sei sbarazzato della tua tristezza e della tua paura, ma questo non cambia il fatto che Aristeo è innamorato di te. Sbarazzandoti delle tue sofferenze, non potrai certo evitargli le sue. Anzi, sicuramente non farai che portargliene altre».
    Lo sentì di nuovo ridere. Una risata amara che si udì appena. «Io sono Ares, il dio della guerra. Con me le persone soffrono. E' sempre stato così».
    «Non con Bistonis».
    Ci fu un altro silenzio. «Bistonis è tra quelle che hanno sofferto di più per causa mia, invece».
    Eros dapprima non capì cosa intendesse dire Ares. Solo dopo qualche attimo la consapevolezza lo invase, facendogli sgranare gli occhi. «Ares, quindi tu...!»
    «Ora basta» tagliò corto Ares, voltandosi verso di lui. Lo guardava truce, con un'ombra scura negli occhi che non portava neanche una briciola del solito fuoco che in genere lo invadeva. «L'Exaleiptron è chiuso da secoli, e Fobos e Deimos controllano che non subisca danni. Sembra che tu abbia colto solo una parte della storia raccontata da tua madre, perciò lascia che ti rinfreschi la memoria: per quale motivo è stato necessario racchiudere le mie emozioni lì dentro?»
    Perché stava soffrendo per Bistonis, si disse Eros. Nel pensarlo, però, si rese conto del dettaglio che aveva trascurato senza badarci.
    «Esatto» confermò Ares, che aveva notato il suo sguardo. «Apri quel contenitore, oppure distruggilo, e tutta la tristezza e la paura che avrei dovuto provare nel corso di secoli mi colpiranno in una volta sola. Se per un singolo lutto ho minacciato l'intera stirpe mortale, cosa pensi che potrei fare nel caso qualche stolto decidesse di riportare alla luce il contenuto dell'Exaleiptron?»
    Eros non rispose. Era come pietrificato. Soddisfatto, Ares gli diede le spalle e si allontanò.
    «Ora, se non ti spiace, devo andare a cercare mio figlio. Deve trasmettermi un messaggio da parte del mio unico, vero amore».
    Quelle parole suonarono quasi vuote ad Eros, che ben presto trovò a fargli compagnia solo l'eco cupa dei passi di Ares in lontananza.
     
    Top
    .
0 replies since 12/4/2016, 12:19   60 views
  Share  
.